RIMINI – “Il pervicace disegno criminoso dell’imputato di non pagare le imposte dovute” per i giornalisti alle sue dipendenze, è costato a Gianni Celli la condanna ad anni uno e mesi tre di reclusione: lo spiega la sentenza del giudice monocratico del Tribunale di Rimini, Antonio Pasquale Pelusi, le cui motivazioni sono state depositate pochi giorni fa.
Secondo il giudice “non sussistono nemmeno le condizioni per la concessione condizionale della pena”, proprio a causa del “pervicace disegno criminoso”.
Celli, ex editore della “Voce di Romagna”, è stato condannato ad anni uno e mesi tre di reclusione (come da richiesta del pm Elisabetta Rovinelli) il 18 gennaio scorso, le motivazioni sono state depositate e rese pubbliche dal Tribunale il 24 luglio.
Pesanti anche le pene accessorie: “interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese, incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione, interdizione dalle funzioni di rappresentanza e assistenza in materia tributaria, interdizione perpetua dall’ufficio di componente di commissione tributaria, obbligo di pubblicazione sentenza”. La durata delle pene accessorie temporanee è stata fissata in anni uno e mesi sei.
Durante il processo, l’imputato assistito dall’avv. Monica Cappellini “è rimasto contumace e non ha fornito prova dell’avvenuto pagamento”, dicono le motivazioni, “assente per tutta la durata del processo, non ha reso l’esame che era stato richiesto al momento della richiesta di prove”. È stato ritenuto “colpevole al di là di ogni ragionevole dubbio” del reato di omesso versamento ritenute dovute o certificate (art. 10 bis D.Lgs. n.74 del 10/3/2000), per un totale di euro 418.307, di cui euro 185.539,00 nell’anno di imposta 2009, ed euro 232.768,00 per il 2010, in entrambi i casi al di sopra della soglia di punibilità di 150mila euro annui.
Afferma fra l’altro il giudice nella motivazione della sentenza: “Non convincono assolutamente tra le giustificazioni addotte il periodo di crisi economica, in quanto il giornale ha continuato a uscire regolarmente, quindi vi erano parte dei ricavi che ne derivavano dalle vendite, nonché la raccolta pubblicitaria che sempre per gli anni in contestazione è avvenuta con regolarità. Ma non solo, vi era anche il contributo dello Stato all’Editoria, come spiegato dal dott. Ceccarelli, che ammontava a due milioni e mezzo di euro circa ogni anno, con cui si potevano coprire sia tutti i costi della carta e della stampa e ne rimanevano altri per pagare parte degli stipendi dei dipendenti. Non sono credibili nemmeno i costi sopportati per l’apertura del portale web www.romagnanoi.it che ammontavano a circa 350mila euro l’anno”. “Difettano elementi diversi della condotta valutabili a favore dell’imputato”, anzi si rileva la “continuazione”: “non sussistono nemmeno le condizioni per la concessione condizionale della pena, visto il pervicace disegno criminoso dell’imputato di non pagare le imposte dovute ai lavoratori dipendenti”.
La somma di 418mila euro relativa a questa prima condanna, è solo una piccola parte dei soldi dovuti e non pagati all’Agenzia delle Entrate da parte delle società editoriali che erano amministrate da Gianni Celli o a lui riconducibili, e che poi sono fallite. Per limitarci a Editrice La Voce, le agenzie statali e di riscossione tributaria si sono insinuate nel fallimento per quasi 4 milioni di euro (3.815.660,57 euro per la precisione). (giornalistitalia.it)
Paolo Facciotto
già componente del Comitato di redazione “La Voce di Romagna” e fiduciario sindacale