BOLOGNA – Giovanni (Gianni) Celli, editore del quotidiano “La Voce di Romagna”, è indagato per bancarotta fraudolenta e malversazione a danno dello Stato. L’immobiliarista riminese, famoso fra l’altro per non aver mai riconosciuto il sindacato, è accusato di distrazione di fondi dalla “Editrice La Voce” ad altre 8 società a lui riconducibili, per una somma complessiva di 9,9 milioni di euro. Quanto ai contributi ottenuti nel 2010-2013 dal Dipartimento Editoria del Governo, una somma di circa 3,6 milioni di euro sarebbe stata destinata ad altra attività e non al giornale.
“Davanti a questo scenario si resta sconcertati, – è il commento dell’Assostampa Emilia Romagna e della Fnsi – ma non ci si può stupire se la società editrice – come è accaduto – è fallita con un ‘buco’ di 12,8 milioni di euro, reclamati da 112 creditori: fra di loro decine di colleghi, grafici, agenzie, fotografi, Aser, nonché i nostri istituti di categoria (Inpgi, Casagit e Fondo complementare)”.
Le notizie sui clamorosi sviluppi dell’indagine, allargatasi con una rogatoria internazionale a San Marino, per due giorni non sono state smentite dall’interessato né dagli inquirenti, e ciò vale come una loro conferma.
Pochi giorni fa è stata dichiarata fallita anche una seconda società editoriale di Celli, che editava il portale di news collegato al quotidiano.
“È notizia recente – prosegue il sindacato dei giornalisti – che, purtroppo, anche alcuni colleghi si sono prestati al gioco al massacro messo in atto dall’editore dentro il giornale per oltre due anni: l’attuale direttore è stato sanzionato con la sospensione per due mesi dall’esercizio della professione e il suo immediato predecessore con una censura per violazione della Carta di Firenze (delibere del Consiglio di Disciplina Territoriale dell’Ordine giornalisti Emilia-Romagna).
Erano e restano quindi sacrosante le richieste, avanzate da tempo, che il sindacato dei giornalisti oggi ribadisce:
- sia fatta luce in tempi brevi sui soldi sottratti alla gestione editoriale e quindi alle tasche di chi lavorava, tanto più in quanto di provenienza pubblica;
- sia resa giustizia ai tanti colleghi rimasti senza stipendio, fino a 15 mensilità, con adeguato risarcimento economico nei procedimenti in corso;
- si faccia piena luce sullo scandalo che vede l’indagato Celli ancora oggi di fatto alla guida del giornale nell’azienda editoriale, solo formalmente affittata ai suoi figli;
- si rifletta sulla necessità di rivedere, rendendoli più stringenti, i criteri di assegnazione dei contributi pubblici e prevedendo l’esclusione definitiva di chi non rispetta le regole”.