VICENZA – Chiedere la verità e, poi, la libertà di dimostrare. Lo stanno facendo i giovani russi che nelle piazze vengono picchiati, arrestati. Sono più di 14 mila quelli finiti in carcere. Eppure, vanno avanti, proseguono anche a costo di rischiare una condanna pesante e i penitenziari russi non sono certo noti per essere degli oratori.
E che dire della giornalista Maria Ovsyannikova che ha fatto irruzione con un cartello durante il telegiornale della sera, quello più seguito sul primo canale, alzando alle spalle della conduttrice, un cartello con scritto “No War” in inglese e, poi, in russo “Fermate la guerra, non credete alla propaganda, qui vi stanno mentendo” ?
Un atto di coraggio? Forse. Un atto di determinazione? Plausibile. Un gesto di informazione, anche se scandito in poche parole? Senza ombra di dubbio. Ed è anche su questa “civile disobbedienza” che dobbiamo avere speranza pensando a quanto sta accadendo in Ucraina.
La propaganda durante le guerre è sempre esistita: le prodezze di Benito Mussolini, molti giovani le hanno apprese dalla radio o nei cinema. Ma da allora molto è cambiato, abbiamo più mezzi di informazione. Più voci si stagliano nel mondo dei mass media, per quanto spesso disarticolate dal contesto, per quanto esecrabili.
Però, un giovane e non solo, scegliendo i canali giusti riesce a leggere, pensare attraverso le “ragioni del dubbio “come ci ricorda l’ultimo libro della sociolinguistica Vera Gheno che ci invita ad averne sempre prima di esprimerci.
Ma torniamo alla giornalista russa Maria Ovsyannikova, all’informazione, a quanto stanno facendo gli inviati di giornali e televisioni che continuano a restare, a raccontare, in condizioni non certo agevoli. Quattro hanno perso la vita, un altro è stato ferito in modo grave. Ma il giornalismo deve continuare a rimanere un presidio di democrazia e di pace. Ricordiamoci che nel 2021 l’Accademia di Stoccolma ha assegnato proprio a due giornalisti – la filippina Maria Ressa e il russo Dmitry Muratov caporedattore del giornale d’inchiesta Novaja Gazeta, la testata nella quale scriveva anche la giornalista Anna Politkovskaya –, il Nobel per la pace.
Certo, l’informazione non sta benissimo in Russia e in tanti altri Paesi, compreso il nostro che nelle statistiche risulta al 41° posto nell’annuale report del Word Press Freedom Index. Però, dobbiamo continuare a pensare e a vedere il giornalismo come il principale vaccino contro la disinformazione. Lo abbiamo fatto capire durante il Covid, dobbiamo farlo comprendere anche in guerra. Lo dobbiamo a Maria Ovsyannikova. E non solo. (il giornale di vicenza/giornalistitalia.it)
Chiara Roverotto