Collettiva a Fano per rimarcare il valore della fotografia che “divide la vita in attimi”

La realtà vista con gli occhi di un fotoreporter

Io reporterFANO (Pesaro e Urbino) – Una mostra collettiva, quella tenutasi a Fano nell’ex chiesa di Sant’Arcangelo dall’11 al 19 febbraio, intitolata “Io Reporter” e costituita, appunto, dalla ricerca di quindici fotoreporter che, nei giorni nostri, hanno usato la fotografia come strumento di documentazione e testimonianza nei temi più diversificati per cui si passa da “temi più impegnati e di attualità ad altri in apparenza più futili ma capaci di trasportarci in un racconto di grande empatia”.
La mostra, nella sua varietà di temi, alcuni dei quali di evidente valore informativo altri di testimonianza dei tempi moderni, offre spunti di riflessione sul ruolo e l’impatto che il flusso di immagini (adesso diventato enorme ed in larga parte fuori controllo) può avere sulla realtà quotidiana.
Il pensiero va evidentemente a due casi celeberrimi, in primis la foto di Kim Phuk in Vietnam, La foto fu scattata l’8 giugno 1972 a Trang Bang, a pochi chilometri da Saigon, dopo un bombardamento aereo con bombe al napalm. La bimba che fugge terrorizzata è, appunto, Kim Phuk, allora aveva nove anni. Oggi Kim vive in Canada, è ambasciatrice della pace per l’Unesco e dirige una fondazione per aiutare i bambini vittime di guerra.

La piccola Kim Phuk fotografata da Nick Ut

La piccola Kim Phuk fotografata da Nick Ut

La foto fu scattata da Nick Ut e gli valse il Premio Pulitzer e venne pubblicata sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo e segnò dolorosamente un’intera generazione. Quell’immagine aprì una ferita talmente profonda nella coscienza umana, che portò la gente a sentirsi in dovere di fare qualcosa per fermare la guerra.
Era difficile accettare che fossero bambini indifesi a subire le atrocità di quel conflitto. La foto di Nick Ut provocò un sussulto nella coscienza addormentata dei cittadini, in larga parte statunitensi.
La seconda foto è quella scattata nel 2015 dalla fotoreporter Nilufer Demir che ritrae Aylan Kurdi senza vita a faccia in giù, tra la schiuma delle onde, nella sua t-shirt rossa e nei suoi pantaloncini blu scuro, piegati all’altezza della vita, sulla spiaggia di Bodrum, in Turchia.

Il piccolo Aylan fotografato da Nilufer Demir

Questa foto è divenuta il simbolo della crisi umanitaria legata all’immigrazione: Aylan, tre anni, è morto scappando dalla guerra, una foto che ha destato parecchie polemiche sulla opportunità o meno della sua pubblicazione. La fotoreporter ha spiegato che immortalare quella scena era un suo dovere professionale, nella speranza che, grazie a quello scatto, “qualcosa possa cambiare”.
Ma, a parte un iniziale shock emozionale, poi tutto torna come prima, a giudicare dai passi (pochi) in avanti nelle politiche migratorie e dai muri anti immigrati (tanti) in costruzione nella civilissima Europa.
Le mostre come “Io Reporter”, con i vari soggetti fotografici, ci ricordano come sia grazie ai fotoreporter se spesso scopriamo eventi terribili o le atrocità nascoste delle guerre e come, altrettanto spesso, lo sguardo acuto del fotografo riesca a cogliere, anche in questi momenti drammatici, umanità e bellezza. Ricordandoci che, come sosteneva E. J. Muybridge, “la fotografia divide la vita in attimi: ognuno ha il valore di una vita intera”.

                                                                                               Pietro Masiello

                                                      

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