TORINO – Sono stato indagato dalla procura di Torino per un reato che nessuno ha mai commesso. La mia casa e la redazione sono state perquisite, i miei strumenti di lavoro controllati, sequestrati o clonati. Il reato si chiama «violazione del segreto d’ufficio», è contestato a un pubblico ufficiale da individuare e a me in concorso ed è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Quello che segue è il resoconto di quanto accaduto, partendo da due punti entrambi piuttosto inediti. Il primo è che indagine, perquisizioni e sequestri erano frutto di un errore, il secondo che la procura stessa lo ha riconosciuto chiedendo scusa.
L’antefatto
Qualche settimana fa sto prendendo un caffè con un vecchio amico. Mi racconta che per un procedimento nel quale è parte in causa ha richiesto alla procura di Torino l’accesso ad alcuni documenti relativi al processo Fondiaria-Sai e che gli è stato consegnato molto materiale. A quel punto, faccio presente che mi farebbe piacere darci un’occhiata.
Si tratta di una vecchia storia, per la quale si è già tenuto il processo di primo grado. Ma magari salta fuori qualcosa d’interessante, chissà. È una sterminata mole di telefonate e brogliacci che coprono un arco di almeno tre anni fino ai primi mesi del 2014. In mezzo a quei file in effetti qualcosa c’è. Ad esempio, c’è il racconto piuttosto dettagliato di come Unipol, attraverso una azione di lobby e grazie ad alcuni parlamentari di area Pd, fa deragliare la riforma della Rc Auto voluta dal governo Letta nel 2013/2014.
Una riforma che aveva lo scopo di abbassare le tariffe assicurative, le più alte d’Europa. Ma invisa alle compagnie perché avrebbe aumentato i costi e abbassato i ricavi. Invisa soprattutto a Unipol, che del mercato Rc Auto è leader con una quota del 25%.
A quel punto serve porsi una domanda: ha senso raccontare una storia, per quanto emblematica dei rapporti tra politica e potere economico, vecchia di tre anni e mezzo? La risposta è sì, perché quella riforma finita nel cassetto nel 2014 è riemersa nel Ddl Concorrenza, disgraziato provvedimento di riforme in senso liberale sdoganato solo ieri dal Parlamento. Non senza polemiche anche sulla Rc Auto, per dire. Nella ricostruzione non c’è l’evidenza di un rapporto non proprio sano tra politica e affari il cui esito è la difesa degli interessi di una parte a scapito di quelli della collettività.
Inizio a ricostruire quella storia, parlo con alcuni dei protagonisti, leggo atti parlamentari, rassegne stampa e lavori preparatori della riforma. La Stampa pubblica due pezzi, il 13 e 14 luglio. La mattina del 13 luglio alle 9.03 arriva la telefonata di Fernando Vacarini, capo ufficio stampa di Unipol, che conosco da tempo. Mi aspetto dure rimostranze, invece la sua prima domanda è: «Hai anche altro?». Ok, abbiamo fatto centro.
I fatti
Il pomeriggio del 14 luglio il direttore, Maurizio Molinari, riceve una telefonata del procuratore capo di Torino, Armando Spataro che gli anticipa una cortese lettera con la richiesta di quei file. Il fatto è che non risulterebbero depositati e quindi la procura vuole chiarire di cosa si tratta. Di per sé non è sorprendente, è successo più di una volta di ricevere richieste simili in via assolutamente informale e nella tutela della fonti. L’ufficiale di polizia giudiziaria che riceve i file in una chiavetta (gli stessi che sono ancora online sul sito de La Stampa a corredo degli articoli) chiede di firmare il verbale. C’è qualcosa che non va: la richiesta riporta l’indicazione del reato di violazione del segreto d’ufficio e avvisiamo, solo a quel punto, gli avvocati del giornale. Nei giorni successivi contatto più volte la mia fonte. Deve chiarirmi oltre ogni ragionevole dubbio se quei file sono legittimamente in suo possesso oppure no. La sua risposta è sì, naturalmente. Fornisce dettagli e circostanze e rassicura in ogni modo.
La mattina del 21 luglio alle 8.01 sono sveglio da poco e sto prendendo il caffè quando suonano alla porta: cinque finanzieri in borghese mi mostrano un mandato di perquisizione dove c’è scritto che Carlo Cimbri, ad di Unipol, ha fatto una denuncia per violazione del segreto istruttorio. C’è anche scritto che quegli atti pubblicati sono in effetti coperti da segreto e che alla prima richiesta di consegna non avrei fornito tutto il materiale in mio possesso. Restano in casa per due ore frugando dappertutto, tra i giocattoli dei bambini, nella culla, negli effetti personali della mia compagna. Né lei né i bambini sono in casa e questo rende il tutto meno spiacevole.
Sequestrano cd, chiavette Usb, vecchi telefonini in disuso ma sono garbati e professionali. L’avvocato Rossana Dezio, che assistite alla perquisizione, ricorda che non sono né un camorrista né un narcotrafficante e mi strappa l’unico sorriso della giornata. Da casa passano al giornale, dove i finanzieri diventano 11 e dove proseguono i sequestri di materiale cartaceo e informatico. Vengono clonati i telefonini e l’iPad dove conservo tutti i rapporti con le fonti, le conversazioni private e le foto dei bambini. Per me e per l’avvocato c’è una evidente sproporzione tra i fatti contestati e le misure prese ma questo sembra interessare solo noi.
La conclusione
Mercoledì scorso nel pomeriggio l’avvocato del giornale, Luigi Chiappero, mi avvisa che grazie agli elementi che ho fornito è stato in grado di chiarire tutto. La procura ha accertato che gli atti erano stati ottenuti lecitamente, a seguito di una «richiesta di accesso» controfirmata dal pm titolare del fascicolo. Il reato non c’è, nessuno lo ha mai commesso e l’inchiesta a mio carico si basa su nulla. La perquisizione e i sequestri, semplicemente, non avrebbero mai dovuto avvenire.
Ieri sono arrivate anche le scuse della procura, per bocca di Spataro. Il materiale sequestrato è stato restituito, le copie forensi delle memorie dei telefoni distrutte. Manca una parte dei documenti, che erano effettivamente coperti da segreto e che sono stati rilasciati per errore dal pm. Quelli non rilevanti per l’indagine in corso su Unipol saranno distrutti. Fine. (La Stampa)
Gianluca Paolucci
Maurizio Molinari: “Diritto di cronaca e rispetto della legge”
La vicenda che ricostruiamo in questa pagina è avvenuta ad un giornalista de “La Stampa” e dunque appartiene ad ognuno dei nostri lettori. Gianluca Paolucci ha trovato una notizia, l’ha scritta, è stato accusato di averne identificato gli elementi violando la legge, ha subito sequestri di documenti e perquisizioni, ed infine ha ricevuto – assieme al giornale – le scuse del procuratore della Repubblica Armando Spataro. Tutto è avvenuto nell’arco di 19 giorni, mettendo alla prova il delicato, e necessario, equilibrio fra giornalismo d’inchiesta e rispetto della legge.
L’errore investigativo compiuto ai danni di Paolucci, agevolato anche da una non completa restituzione di tutto il materiale in possesso, ha minacciato di innescare un pericoloso corto circuito fra carta stampata e giustizia. Ed il fatto stesso che sia avvenuto, nei locali della nostra redazione, costituisce un campanello d’allarme. Ma la conclusione della vicenda è di tenore opposto: premia il lavoro tanto dei reporter che difendono il diritto di cronaca quanto dei magistrati che hanno saputo correggere l’errore. Ecco perché questo episodio, che avrebbe potuto degenerare in una grave lesione della libertà di stampa, si è trasformato invece nell’esempio opposto. (La Stampa)
Maurizio Molinari
direttore de La Stampa
Il Procuratore: “Le nostre scuse per una stampa libera ed indipendente”
Pregiatissimo Direttore Molinari, facendo seguito ai colloqui dei giorni scorsi, e nell’assoluto rispetto del diritto-dovere di informazione, Le invio questa nota, di cui autorizzo la pubblicazione, per favorire una riflessione dei lettori sul delicato tema della diffusione di notizie acquisite tramite intercettazioni.
Intendo riferirmi a quanto avvenuto a seguito della pubblicazione, avvenuta nel luglio scorso, sul quotidiano da Lei diretto, di un articolo a firma del giornalista Gianluca Paolucci, in cui comparivano brani di conversazioni registrate attraverso intercettazioni telefoniche ed alcuni messaggi di testo chiaramente pertinenti ad un’attività d’indagine, non ancora oggetto di discovery. I materiali predetti, oggetto anche di diffusione audio nel sito web del quotidiano, erano da considerarsi – pertanto – ancora coperti dal segreto investigativo, nonostante negli articoli si affermasse il contrario.
Tale pubblicazione era oggetto di denuncia depositata presso la Procura di Torino dall’avvocato di una persona che lamentava la diffusione di quelle comunicazioni di cui – comunque – non conosceva l’esistenza.
A seguito della citata denuncia e della conferma della segretezza delle intercettazioni da parte del magistrato titolare della indagine, La contattavo personalmente per le vie brevi il 14 luglio anticipandole l’inoltro di una formale e motivata richiesta di spontanea consegna del materiale in possesso de La Stampa, onde evitare di procedere a perquisizione.
Tale richiesta veniva da Lei accolta con conseguente acquisizione dei reperti. Si constatava, però, che essi non contenevano le conversazioni pubblicate ed ancora segrete sicché, dopo una settimana, veniva disposta la perquisizione a carico del giornalista Paolucci, anche presso la sua abitazione, che portava al sequestro dell’intero materiale d’interesse costituito da: a) supporti audio di conversazioni registrate, depositate nell’ottobre del 2013 e poi formalmente trascritte nell’ambito di un processo già definito con sentenza di I grado dell’ottobre del 2016; b) conversazioni registrate nello stesso procedimento definito, ma mai trascritte con perizia e che – dunque – dovevano essere distrutte a norma di legge; c) conversazioni segrete, mai depositate formalmente, risalenti al 2013 ed ai primi due mesi del 2014.
Non vi era alcuna ragione che potesse giustificare giuridicamente la disponibilità presso terzi e la pubblicazione delle conversazioni sub “b” e “c”, nonché la disponibilità in supporto audio di quelle sub “a”.
A quel punto, però, disponendo dell’intero materiale sequestrato, il magistrato titolare del procedimento nell’ambito del quale erano state effettuate le intercettazioni predette, accertava che, nel giugno del 2017, egli ne aveva autorizzato il rilascio, a seguito di formale istanza, ad un avvocato interessato, in realtà, ad utilizzare legittimamente, nell’interesse di un suo cliente, solo quelle sub “a”, poi formalmente trascritte.
L’autorizzazione era stata rilasciata in quanto il magistrato aveva dai primi mesi del 2014, nella sua disponibilità, quattro CD-Rom contenenti copia di tutte le conversazioni effettuate che la Polizia Giudiziaria, su sua richiesta ed in vista dell’utilizzo nel dibattimento, gli aveva consegnato, senza elenco di accompagnamento.
Ma il magistrato, come da lui specificato ed avendo ciò richiesto, era convinto che i supporti contenessero solo le intercettazioni da trascrivere ed utilizzare in dibattimento (come tali fruibili dall’avvocato che aveva proposto istanza) e non anche quelle inutilizzabili o segrete.
Chiarito l’equivoco, in data odierna è stato restituito al giornalista Paolucci il materiale sequestratogli, ad eccezione delle registrazioni e trascrizioni segrete o inutilizzabili. Ed anche l’avvocato cui i CD erano stati consegnati ha convenuto sulla necessità di restituzione di tali registrazioni.
In sintesi, quanto alle conclusioni di questa singolare vicenda, la pubblicazione di atti segreti ed inutilizzabili, ci si augura senza danni per alcuno, risulta conseguente: alla consegna formale ad un avvocato delle predette registrazioni; all’equivoco in cui è incorso il magistrato titolare della indagine, anche per le modalità di consegna delle conversazioni alla Procura; alla consegna spontanea da parte de La Stampa, alla Procura, solo di una parte del materiale richiesto con missiva a firma del sottoscritto; Di qui l’effettuazione di una perquisizione (svoltasi nel pieno rispetto della dignità del giornalista e della sua famiglia, come da lui stesso confermato) al solo fine di rintracciare reperti che non potevano essere diffusi e di cui era vietata la detenzione extra processuale.
Una considerazione ulteriore è la seguente: il 15 febbraio 2016 il sottoscritto ha emanato una circolare (che ha trovato attenzione e condivisione da parte del Csm e, con la legge n. 103/2017, dal Parlamento) volta a disciplinare proprio le modalità di deposito e rilascio di copie su supporto magnetico o in cartaceo di registrazioni e/o trascrizioni di conversazioni telefoniche o ambientali, che prevede anche l’attivazione necessaria – al termine delle indagini preliminari – della procedura prevista dalla legge di trascrizione delle conversazioni rilevanti e di cancellazione delle altre, ciò a tutela della riservatezza di conversazioni e comunicazioni inutilizzabili o sensibili ai sensi del Codice della Privacy.
Se tale circolare fosse stata in vigore al tempo del deposito delle intercettazioni, i fatti qui descritti non si sarebbero potuti verificare.
Ciò non mi esime, a nome dell’ufficio che ho l’onore di dirigere, di porgere le nostre scuse – per la parte che ci riguarda – al quotidiano da Lei diretto ed al giornalista Paolucci, confermando nel contempo nostra piena convinzione della necessità di una stampa libera ed indipendente, che sappia comunque trovare da sé gli strumenti per contribuire alla tutela della privacy ed alla corretta informazione.
A tal proposito, mi dichiaro disponibile ad un confronto pubblico che possa avere ad oggetto, in ossequio alla giurisprudenza della Cedu più volte illustrata da su La Stampa, anche la disciplina di una possibile procedura – per primo ipotizzata da Luigi Ferrarella – che consenta ai giornalisti di accedere autonomamente ad atti processuali di pubblico interesse. (La Stampa)
Armando Spataro
Procuratore della Repubblica di Torino