PALERMO – Nella scorsa primavera, in pieno lockdown, l’Italia ha appreso dalla voce allarmata delle associazioni dei coltivatori che, a causa delle chiusure imposte dal dilagare del virus, mancavano all’appello 350mila lavoratori stranieri necessari per raccogliere frutta e verdura, pena la distruzione dei raccolti. Quel brusco richiamo ha dato corpo a una realtà passata per molto tempo sotto silenzio: la presenza di centinaia di migliaia di migranti nelle campagne d’Italia. Della loro fatica, delle loro condizioni poco si sa. Sono gli “invisibili”, com’è d’uso chiamarli, le cui storie affiorano in superficie solo quando diventano materia di cronaca nera.
Così è accaduto per Soumaila Sacko, contadino nelle terre inaridite dalla siccità del Mali occidentale, immigrato in Italia nel 2014 e ucciso quattro anni dopo, in Calabria, il 2 giugno 2018, mentre in una fornace abbandonata raccoglieva lamiere per farne baracche a prova d’incendio, da tirar su nel ghetto dei braccianti africani a San Ferdinando.
La sua morte assurda, per mano di un giustiziere “di carnagione chiara”, che gli sparò con calma una fucilata alla testa, da seduto, ebbe un momento di tragica notorietà perché coincise con il giorno in cui l’ex ministro degli Interni Matteo Salvini pronunciò il suo slogan più sprezzante contro gli immigrati: “La pacchia è finita”. E “La pacchia” (Zolfo editore, pagine 176, euro 16) si intitola, appunto, il libro edito anche in e-book che la giornalista e scrittrice Bianca Stancanelli ha dedicato a Soumaila Sacko.
Ricostruzione minuziosa della vita di Sacko, dalla polvere del villaggio natale di Sambacanou all’approdo nel porto di Taranto con le navi dell’operazione “Mare Nostrum”, «dalla trafila per ottenere il permesso di soggiorno allo sfruttamento nelle campagne calabresi, dove la ’ndrangheta si infiltra nella grande distribuzione organizzata e impone regole ferree di riduzione dei costi, il libro indaga anche le molte pacchie costruite sul fenomeno dell’immigrazione: dai contributi pubblici per tendopoli che saranno poi mandate in rovina ai contributi negati ai braccianti africani e distribuiti ai picciotti delle cosche», afferma l’autrice.
Su questo sfondo, anche il luogo in cui Soumaila è stato ucciso (con «un proiettile da 24 centesimi») appare segnato da una sinistra “pacchia”: «l’interramento nella fornace di 135mila tonnellate di rifiuti tossici, prodotti delle centrali Enel della Puglia e della Sicilia, compiuto nel segreto e nel silenzio per sette anni, fino a quando un’inchiesta della magistratura ha posto fine a quello scempio», osserva Stancanelli. E scrive nel suo libro: «Nessun solitario giustiziere ha alzato la canna di un fucile per impedire che quel luogo diventasse una bara di veleni». E avverte che il processo contro i responsabili è avviato verso la prescrizione.
Vicenda, anche questa, che dà ragione alle dolenti parole dell’incipit del libro: «Scrivo di un uomo che non esiste più, di un luogo che non esiste più, di un’ingiustizia che dura».
Bianca Stancanelli è nata a Messina e vive a Roma. Ha esordito come cronista nel quotidiano L’Ora di Palermo, occupandosi soprattutto di mafia e politica, si è poi trasferita nella capitale dove ha lavorato come inviato speciale per il settimanale Panorama. Ha pubblicato con l’editore Marsilio, oltre ai due volumi di racconti Cruderie (1996) e Morte di un servo (2000), i saggi Quindici innocenti terroristi. Come è finita la prima grande inchiesta sull’estremismo islamico in Italia (2006), La vergogna e la fortuna. Storie di Rom (2011) e La città marcia. Racconto siciliano di potere e di mafia (2016).
Con “A testa alta. Don Giuseppe Puglisi: storia di un eroe solitario” (Einaudi, 2003) ha vinto l’Aquila d’oro al Premio Estense 2003. Nel 2016 le è stato conferito il Premio nazionale Paolo Borsellino. (ansa)