ROMA – Sono diventati un libro gli atti del convegno organizzato dall’Ordine dei Giornalisti del Lazio per analizzare gli aspetti più dolorosi e sconcertanti del disagio giovanile: dal bullismo alla violenza, dalle angosce alle dipendenze. S’intitola, non a caso, “Maladolescenza” il saggio, edito da Media&Books (144 pagine, 15 euro; anche in versione ePub su Amazon a 4,99 euro) e curato da una penna di razza come Carlo Picozza, giornalista di Repubblica e responsabile della Formazione per l’Odg Lazio, e dall’avvocato Maria Belli, esperta in mediazione familiare e minorile. Da segnalare i disegni di Massimo Bucchi, che impreziosiscono la copertina e le pagine del libro.
«Questo libro – scrive, nella prefazione, lo psicanalista Massimo Recalcati – interviene su una materia scabrosa com’è quella della adolescenza cosiddetta a rischio. Il tempo evolutivo, che dovrebbe esprimere la massima prossimità alla vita, il suo pieno dispiegamento, la sua espansione positiva, è anche quello dove si annidano i maggiori tormenti, le angosce più profonde e gli smarrimenti più radicali. Non a caso, come viene ricordato anche in queste pagine, il suicidio è la seconda causa di morte per giovani tra i 15 e i 24 anni e il consumo di una sostanza tossica coinvolge un ragazzo su due prima dei 14 anni».
Un libro difficile, come dure e difficili sono state le testimonianze che si sono inanellate durante il convegno, dedicato a due ragazzine assurte, purtroppo, a simbolo delle tragedie che, nella “maladolescenza”, troppo spesso soppiantano la spensieratezza e la gioia di anni belli soltanto per chi li guarda.
E non è, ancora una volta, un caso che il saggio di Picozza e Belli sia dedicato a Noemi Durini, la ragazza di sedici anni di Specchia, in provincia di Lecce, uccisa dal suo fidanzato, e a Desirée Mariottini, anche lei sedicenne, vittima della droga e di violenze inaudite nel cuore di San Lorenzo, in uno di quegli angoli di Roma abbandonati a se stessi dove la cosa “migliore” che possa capitare è che si trasformi in un covo di pusher.
«Le vite di Desirée e di Noemi, sono state estreme. Segnate, l’una dallo stigma di una piccola menomazione fisica e da modelli sbagliati; l’altra, da maltrattamenti tollerati in nome di un’idea dell’amore come sopportazione», scrive Carlo Picozza nelle prime pagine, sottolinenando che «per questo abbiamo voluto ricordarle e, soprattutto, continuare a parlare di loro: per l’epilogo – violento e assurdo – di comportamenti e azioni fatalmente al limite. Queste vite spezzate impongono una riflessione sul livello di conoscenza dei comportamenti a rischio in adolescenza, sul rapporto con i ragazzi e i loro a anni e sul ruolo dell’informazione quando li racconta».
Partendo dai dati di fatto diventati cronaca – dalla ragazzina che si è buttata sotto un treno a Cesena alle “baby squillo” dei Parioli – e introducendo le preziose testimonianze di colleghi ed esperti, ma prima ancora quelle di Barbara Mariottini e Immacolata Rizzo, l’una mamma di Desirée, l’altra di Noemi – Carlo Picozza sente il dovere di un ammonimento: «Con questa iniziativa formativa vorremmo ripensare insieme cosa intendano i giornalisti, i servizi sanitari, la politica, in una parola, gli adulti con il termine “cura” quando si riferiscono agli adolescenti. Vorremmo sollecitare la tensione individuale e collettiva a dedicarci ai nostri ragazzi con i sen- timenti a loro più propri, quelli dell’esplorazione, della riscoperta del desiderio, della crescita e della trasformazione».
Perché «le fragilità – chiosa Picozza – vanno trattate con tolleranza e cultura. Per noi giornalisti, questo vuol dire raccontare gli adolescenti non come uomini in miniatura ma come ragazzi che stanno per diventare uomini. Perciò, la compassione, intesa nel senso del patire insieme, e la complicità, diventano leve potenti per la nuova alleanza con la società del domani».
Una curiosità: a dare vita al convegno e al libro sono state per lo più relatrici. Quasi tutte donne, insomma. Tant’è che Picozza, ricostruendo le tappe dell’organizzazione, ammette: «Non è stata una scelta. Me ne sono accorto qualche giorno fa, quando sono stato costretto a rimpiazzare anche l’ultimo maschio che ha dato forfait, dopo altri quattro, tra giornalisti e psicologi. Professionisti bravi, tutti con gli adolescenti, che non hanno voluto o potuto aiutarci a realizzare questo incontro, con la loro esperienza e le loro testimonianze. Forse, ho pensato, tra donna e uomo c’è una gestione differente dell’emotività. Le ferite di quella età, che ognuno porta dentro di sé, fanno male in maniera diversa?». (giornalistitalia.it)