Il 23 maggio il Tribunale di Catania ne decide in futuro. Favoriti Mainetti-Morgante

La Gazzetta del Mezzogiorno: l’ora della verità

Da sinistra: Valter Mainetti e Lino Morgante

BARI – Il 23 maggio il Tribunale di Catania si pronuncerà – finalmente! – sulla sorte della Gazzetta del Mezzogiorno, lo storico quotidiano di Puglia e Basilicata le cui quote di maggioranza sono state sequestrate il 24 settembre 2018 (insieme con altri beni e società, editoriali e no) all’editore siciliano Mario Ciancio Sanfilippo, già presidente della Fieg, la Federazione italiana editori giornali.

Giuseppe Mazzarino

In questi mesi il giornale è stato “gestito” dai due amministratori giudiziari nominati dal Tribunale, che in un primo (lungo) momento, contro le norme in materia, avevano lasciato al suo posto proprio l’uomo di fiducia di Ciancio, Franco Capparelli, responsabile primo dei problemi economici della precedente gestione (tra l’altro, da due anni non venivano versati i contributi al Fondo pensione complementare dei giornalisti).
La società editrice, infatti, non aveva più risorse proprie ed aveva bisogno di essere ricapitalizzata; prima di poter procedere alla ricapitalizzazione, però, è arrivato il sequestro. La conseguenza è stata che giornalisti e poligrafici hanno lavorato per mesi (e tuttora lavorano) senza essere pagati, se non con qualche “anticipo” non corroborato da fogli paga. Mentre restava al suo posto, nella crescente protesta dei giornalisti, delle maestranze e delle rappresentanze sindacali, l’inamovibile Capparelli.
Qualche mensilità arretrata, con relative buste paga, comincia ad essere pagata nel 2019, quando Capparelli esce di scena dal consiglio d’amministrazione della Edisud, la società editrice del giornale, ma resta presidente della Mediterranea, la concessionaria di pubblicità locale, che è anche proprietaria della testata. Anzi, secondo i “boatos” che circolano in redazione, mentre i giornalisti fanno appello alle forze produttive ed alle imprese perché sostengano anche con le inserzioni il giornale in difficoltà, lui trascura la raccolta pubblicitaria.

Mario Ciancio Sanfilippo

In aggiunta ai due amministratori giudiziari, che per mesi hanno mantenuto le distanze da redazione, poligrafici e rappresentanze sindacali, il Tribunale di Catania nomina finalmente, in sostituzione di Capparelli, un professionista locale, Fabrizio Colella, che riapre il dialogo con i lavoratori.
Si fanno avanti intanto due possibili compratori del giornale: il gruppo Angelucci (già in passato titolare di una quota di minoranza nell’Edisud), editore di Libero e del Tempo (e del defunto Riformista), il cui core business è tuttavia quello della sanità privata, e la cordata composta dal socio di minoranza dell’Edisud, Valter Mainetti, amministratore delegato di Sorgente (che detiene praticamente l’intero pacchetto azionario del quotidiano Il Foglio, già di proprietà di Veronica Lario, ex moglie di Berlusconi, con quote fluttuanti tra Paolo Berlusconi, Giuliano Ferrara, Denis Verdini, Sergio Zuncheddu, Luca Colasanto, Matteo Arpe) e da Lino Morgante, editore della Gazzetta del Sud, quotidiano di Messina diffuso in Calabria, fresco di acquisizione del Giornale di Sicilia di Palermo. La Ses, società editrice di cui Morgante è amministratore delegato, aveva già detenuto il 30% delle azioni dell’Edisud, insieme con Ciancio e con i baresi Lobuono e Gorjux, quando il Banco di Napoli, dopo la cessione ai privati della gestione del giornale (1978, subito dopo il delitto Moro), aveva deciso di disfarsi anche della proprietà; azioni che poi attraverso la Banca Popolare di Bari erano passate prima al Gruppo Fusillo, poi alla Tosinvest di Angelucci, infine a Sorgente.

Antonio Angelucci

Le proposte avanzate dai due aspiranti presentano criticità, soprattutto sul piano del mantenimento dei livelli occupazionali, ma sono state affinate nel confronto con le rappresentanze di giornalisti e poligrafici, comitato di redazione e consiglio di fabbrica in testa, e con la Regione Puglia.
In vantaggio sembrerebbe, anche perché garantirebbe una continuità aziendale, la cordata Mainetti-Morgante. L’essenziale è che la Gazzetta del Mezzogiorno torni ad avere un editore vero, con risorse certe, per non dissipare un patrimonio di 132 anni di informazione al servizio delle comunità di Puglia e Basilicata, alle quali ha dato anche voce e visibilità, anche nazionali, fino alla sciagurata decisione di un management incapace di chiudere, nel 2002, la Redazione romana, abdicando all’informazione politica ed economico-sindacale nazionale autoprodotta.
Un giornale che ha ancora appeal, se nel “Gazzetta Day” del 29 dicembre, con tre mesi di stipendi non pagati alle spalle e col solo tam tam dei giornalisti, senza nessuna iniziativa promozionale da parte degli amministratori giudiziari, le vendite schizzarono da ventimila a sessantamila copie. Un giornale che ha un’altra preziosa risorsa che sarebbe stupido dissipare: una redazione di qualità, inclusi i collaboratori. Un giornale che deve vivere, per aiutare a far vivere, anche, le popolazioni di Puglia e Basilicata. (giornalistitalia.it)

La sede della Gazzetta del Mezzogiorno a Bari

Un commento

  1. Caro direttore, non so quali siano le fonti ma il sottoscritto non ha fatto nessuna proposta per Gazzetta del Mezzogiorno ne’ incontrato organizzazioni sindacali. Cordiali saluti

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