ROMA – I gusti sono differenti. Vi è chi, leggendo il giornale, si diletta nei brillanti paradossi dell’articolo di fondo, seguendone mentalmente le evoluzioni: molti frequentano l’appendice, pianterreno lugubre e sanguinoso, dove si commettono, sera per sera, i più atroci delitti: alcuni scelgono la cronaca interna dove leggono importantissimi fatti avvenuti nell’Uraguay, a Capracotta o a Roccacannuccia; altri prediligono i telegrammi particolari, tanto particolari che talvolta i fili del telegrafo non ne hanno saputo nulla: non mancano, infine, gli amatori della quarta pagina. Ma vi è una rubrichetta modesta, non molto lunga, a caratteri piccini, ficcata come per misericordia in un angolo qualunque del giornale, spesso scorretta, spesso dissestata; ebbene, questa qui è letta da tutti, giovanotti, vecchi, fanciulle, spose, madri, insomma tutti. Persino gli uomini serii, quelli che vorrebbero far credere di non patire alcuna debolezza comune agli altri mortali, persino quelli vi danno un sbirciatina di nascosto, scorrendola in un battibaleno o fingendo di leggere gli Stefani. E mentre tutto il resto del giornale può forse riuscire indifferente, quell’angolo lì, nella sua umiltà e brevità, fa sempre una impressione: lascia un sorriso sulle labbra o una oscurità negli occhi. È l’estratto dello “stato civile”.
Matilde Serao
scrittrice e giornalista
prima donna italiana ad aver fondato e diretto un quotidiano: Il Corriere di Roma.
Ha diretto anche Il Mattino e Il Giorno.
(da “Estratto dello Stato civile”, Dal vero, Perussia & Quadrio, Milano, 1879)