PADOVA – Compie 110 anni il settimanale diocesano di Padova, La Difesa del popolo, e si rinnova nella grafica e nei contenuti. L’occasione per la presentazione del nuovo giornale è stato oggi il tradizionale appuntamento del vescovo Claudio Cipolla con l’informazione locale, a ridosso della ricorrenza di san Francesco di Sales, patrono dei giornalisti (24 gennaio).
«Sono stati 110 anni di cambiamento radicale e sempre più veloce. La Difesa ha accompagnato, come voce che richiamava all’unità, cristiani e comunità. In tanti lo hanno letto cercando di capire dove andava la Chiesa, che cosa diceva o pensava, perché anche un giornale è servizio di comunione, una voce che può servire la comunione tra persone che vivono un territorio e che spesso sono unite dalla stessa fede cristiana».
Il ruolo del settimanale diocesano nel fare comunione viene sottolineato dal vescovo Cipolla: «Vogliamo oggi rilanciarlo per servire la comunione e l’unità per cui preghiamo ogni volta che celebriamo l’Eucaristia. Per dire che è possibile ancora, anche in un nuovo contesto culturale, parlare di fraternità, di pace, di giustizia, di spiritualità, di fedeltà, di amore, immaginare la nostra comunità parte di persone che tra di loro sanno incontrarsi, dialogare e volersi bene. Su questo versante controcorrente stiamo camminando, circondati da una cultura individualistica che quando parliamo di fraternità pensa che sia una proposta irrealizzabile. La Difesa ci accompagna invece, insieme a tutti gli altri strumenti di comunicazione, nel realizzare tutte queste cose belle ma che non fanno notizia».
LA DIFESA COMPIE 110 ANNI, AVVENIRE 50
Se La Difesa del popolo compie 110 anni, ne fa invece 50 Avvenire, nato nel 1968 su spinta di papa Paolo VI: lo ricorda il direttore, Marco Tarquinio, intervenuto all’incontro di Padova sul tema “Orientarsi nel mondo delle verità”.
«Un tempo le notizie avevano una data e un luogo; ora no, viviamo in una nuvola di confusione, di bufale, che si costruiscono a partire dalle mezze verità usate spesso contro la verità stessa», dice Tarquinio. E continua: «Nel nostro tempo di tanti canali informativi a disposizione, di fronte alla platea sconfinata, il rischio di noi giornalisti è perdere il faccia a faccia, la relazione su cui si fonda la verità. La verità abita non solo dentro i fatti, ma nei volti delle persone che ne sono toccate».
«La relazione fondante del nostro mestiere – prosegue Tarquinio – è quella con i fatti e con le persone di cui scriviamo e cui mettiamo in mano il nostro prodotto, che si rivolgono a noi chiedendoci informazione qualificata perché attendibile dentro il mare magnum che circola. È una sfida enorme: ma avremo ancora spazio solo se, tra tanti pozzi di acqua fangosa e avvelenata che esistono, sapremo essere guardiani dei pozzi di acqua potabile. Nel senso di custodi e non di padroni, garanti cioè che acqua limpida e bevibile arrivi alle persone che cercano notizie che aiutino a capire verso quale mondo stiamo andando, quale società e quale Chiesa stiamo costruendo. Se non facciamo una verifica delle notizie, che senso ha il nostro mestiere? Saremmo dei megafoni: perché qualcuno dovrebbe fidarsi di noi?». (sir)