ROMA – “L’attenzione dei mezzi d’informazione sul processo “Black Money” è espressione della libertà di manifestazione del pensiero, trattandosi di iniziative che rientrano nel diritto all’informazione ed alla libertà di cronaca e di opinione”.
Non lasciano spazio ad alcuna interpretazione le motivazioni contenute nell’ordinanza con cui la Cassazione respinge l’istanza di rimessione del processo a carico dei presunti capi e affiliati della cosca Mancuso di Limbadi. Nel processo, che si sta celebrando nell’aula bunker del Tribunale di Vibo Valentia, il pm Marina Manzini, il 30 dicembre scorso, ha chiesto condanne per complessivi 219 anni e 2 mesi di reclusione e 33 mila euro di ammende.
“Il diritto all’informazione sul processo – scrivono i giudici estensori motivando la propria decisione – in quanto valore costituzionalmente tutelato, è un bene imprescindibile per l’equilibrio di un sistema democratico”.
Insomma, nessun condizionamento da parte di chi ha inteso informare i cittadini dell’andamento di uno dei processi di ‘ndrangheta più seguiti del Vibonese negli ultimi anni. I giudici della Corte di Cassazione, quasi non bastassero tali appunti rilevano come “non si tratti di tutelare soltanto un valore di rilevanza costituzionale come la libertà di manifestazione del pensiero, di cui i diritti di cronaca e di critica costituiscono peculiare espressione, ma si deve anche tener conto la eventuale compressione dei suddetti diritti avrebbe ricadute non consentite su un essenziale valore endoprocessuale, qual è il diritto dei cittadini alla trasparenza nell’esercizio della funzione giurisdizionale penale”.
Insomma, niente di strano o al di fuori della normalità si è consumato nel corso dell’udienza dello scorso 10 ottobre. “Ed anche ripetuti articoli giornalistici – ha precisato la Cassazione – e persino una campagna di stampa pur continua e animosa, non assumono rilievo ai fini della translatio iudicii (ovvero del trasferimento del procedimento da un tribunale all’altro”.
Undici pagine con cui i giudici spiegano per quale ragione sono “inammissibili i ricorsi” presentati dai legali di Giovanni Mancuso, Giuseppe Mancuso, Damien Fialex, Antonino Castagna, Agostino Papaianni, Gaetano Muscia, Pantaleone Mancuso, Nicola Angelo Castagna, Carmela Lopreste, Giuseppe Papaianni e Ottorino Ciccarelli.
“L’istituto della rimessione – si scrive nel provvedimento – deve trovare applicazione solo nei casi tassativamente previsti ed attraverso un’interpretazione restrittiva della disposizione”. Nel caso in specie, “lo strepitus fori”, ovvero, le valutazioni date dalla piazza, dalla gente “diviene elemento del tutto neutro”. Tra processo penale ed azione mediatica esiste oggi, infatti, “un’osmosi frequente”.
Dunque, nessun presupposto esiste tale da portare alla rimessione. Nulla da ridire da parte della Cassazione neppure rispetto alla presenza del procuratore della Repubblica di Catanzaro, Nicola Gratteri, all’udienza successiva da quella incriminata del 10 ottobre 2016. Né sul fatto che “i membri del collegio giudicante siano magistrati di prima nomina”. Insomma, una bocciatura dell’istanza su tutta la linea.
La Cassazione ha condannato i ricorrenti al pagamento delle processuali e di 1500 euro ciascuno a favore della Cassa delle ammende. (zoom24)
Tonino Fortuna
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