ROMA – Per la prima volta, dopo la decisione interlocutoria della Corte Costituzionale del 26 giugno scorso, la Cassazione ha annullato la condanna ad 8 mesi di carcere senza condizionale inflitta ad un giornalista per diffamazione. La decisione n. 26509 del 22 settembre 2020 della 5ª sezione penale della Suprema Corte, riveste particolare importanza in attesa della riforma in Parlamento che tra breve sarà esaminata dall’aula di palazzo Madama dopo essere stata approvata dalla Commissione Giustizia del Senato.
Protagonista della vicenda é il giornalista di Cosenza, ma iscritto all’Ordine della Lombardia, Gabriele Carchidi, direttore del giornale online Iacchite.com, che vanta un record difficilmente uguagliabile: é stato infatti sottoposto sinora a ben 179 processi per diffamazione a mezzo stampa ed é stato già condannato 17 volte in primo grado a pene detentive per complessivi 8 anni e mezzo di carcere (101 mesi), senza sospensione condizionale della pena.
I dati sono stati rivelati da Ossigeno per l’informazione durante un convegno sull’impunità promosso in Senato il 25 ottobre 2019. Carchidi non é, però, andato in carcere perché sono ancora in corso i processi di appello e i ricorsi in Cassazione. E proprio in uno di questi processi il 9 luglio scorso il suo difensore, avvocato Nicola Mondelli, ha invocato l’applicazione delle sentenze della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo che a partire dal 17 dicembre 2004 (caso Cumpănă e Mazăre contro Romania) hanno costantemente circoscritto a casi del tutto eccezionali la possibilità del carcere alla diffamazione che implichi un’istigazione alla violenza o che convogli messaggi d’odio.
La Suprema Corte ha accolto queste tesi ed ha annullato la condanna ad 8 mesi di carcere trasmettendo di nuovo l’incartamento processuale alla Corte d’appello di Catanzaro che dovrà rimodulare il trattamento sanzionatorio.
La Cassazione, presieduta da Maria Vessichelli, ha preso in particolare atto della recente decisione n. 132 con cui tre mesi fa i giudici di palazzo della Consulta hanno rinviato la loro sentenza definitiva a giugno 2021 per dare tempo al Parlamento di varare finalmente una riforma complessiva della diffamazione attesa ormai da più di 40 anni.
Come é noto la Corte Costituzionale, in un clima di «leale collaborazione istituzionale», ha auspicato la previsione di sanzioni penali non detentive, di rimedi civilistici e in generale riparatori adeguati (come, in primis, l’obbligo di rettifica) e di efficaci misure di carattere disciplinare.
Secondo gli ermellini del “Palazzaccio” di piazza Cavour è evidente che la decisione dell’Alta Corte di piazza del Quirinale «fornisce una traccia esegetica di grande rilievo, che non può essere trascurata nell’ottica di una lettura costituzionalmente e convenzionalmente orientata del tema del trattamento sanzionatorio agitato dal ricorrente. Secondo la direttrice segnata dal quadro normativo e da quello giurisprudenziale evocato dalla Consulta ed in attesa delle determinazioni del legislatore e di quelle, eventuali, della Consulta stessa, allo stato la scelta di applicare la pena detentiva non può che passare per la valutazione della portata delle condotte diffamatorie addebitate all’imputato; ciò allo scopo di apprezzarne – o meno – «l’eccezionale gravità» così come delineata dai precedenti sopra riportati, in presenza della quale sarebbe consentita l’applicazione della pena detentiva. Se questa è la valutazione a farsi, è evidente che si tratta di una decisione che, implicando giudizi concernenti il merito della regiudicanda, spetta al Giudice di merito, il quale dovrà decidere se la meritevolezza della pena detentiva, peraltro non condizionalmente sospesa, discenda dall’inquadramento delle notizie divulgate dagli articoli pubblicati e reputate diffamatorie nell’ambito di quelle di particolare gravità per cui potrebbe ancora trovare applicazione la reclusione». (giornalistitalia.it)
Pierluigi Franz
La sentenza