REGGIO CALABRIA – È una fotografia amara, quanto realistica, quella che l’arcivescovo giornalista della diocesi di Reggio-Bova, Monsignor Giuseppe Fiorini Morosini, ha tracciato della sua “amata città” e della Calabria tutta in occasione della Festa della Madonna della Consolazione. Festività che la Chiesa reggina celebra da secoli con uno spirito di devozione e di speranza capace, ogni anno, di convogliare nella città dello Stretto migliaia di fedeli. Vale la pena soffermarsi a leggere l’omelia che Mons. Morosini ha tenuto stamane nella cattedrale di Reggio Calabria e che riportiamo integralmente:
Miei cari fratelli, ancora una volta siamo sollecitati dalla circostanza della festa di Maria Madre della Consolazione a riflettere su come ci interpella, attraverso la fede, il tema cristiano della consolazione, che è componente fondamentale della misericordia. Consolazione e misericordia sono due modi diversi di dire Dio nella Bibbia e costituiscono entrambi l’impegno missionario della Chiesa, chiamata e inviata a parlare di Dio all’uomo. Tra poco, introducendo con il prefazio la preghiera eucaristica, io pregherò così: Ora assunta in cielo, Maria soccorre e consola con materno amore quanti la invocano fiduciosi di questa valle di lacrime. Siamo sollecitati a relazionarci con la realtà del nostro mondo e della nostra città, per individuare con Maria le lacrime che in essa si versano per asciugarle. È questo il grande impegno di fede per chi vuole celebrare la festa cristianamente.
Il passaggio del Quadro della Madonna per le strade della nostra città, è come una possibilità, mi si lasci passare il termine, che noi diamo a Maria di guardare all’interno della nostra città, nei suoi lati più intimi e forse più oscuri, bisognosi di riscatto e di redenzione. Abbiamo ascoltato alcuni passi della Bibbia attraverso i quali la Chiesa ci fa meditare sul tema della consolazione, azione dello Spirito Santo riversato su Cristo e dalla Chiesa oggi riversato sui seguaci di Cristo, perché svolgere la missione di consolare gli afflitti di oggi.
Mi piace sintetizzare il contenuto di queste letture con un invito che il profeta Isaia fa al popolo in nome di Dio: “Consolate, consolate il mio popolo. Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che è finita la sua schiavitù, è stata scontata la sua iniquità” (Is 40. 1-2) Come vorrei fosse questo il grido di speranza oggi per la nostra città. Poter dire ad essa: è finita la tua schiavitù; la liberazione da tutti i tuoi mali. Perché questo dovrebbe essere il senso di una festa religiosa, al di là di ogni apparato esterno: la liberazione dal male in nome di Dio: lo spirito del Signore è su ciascuno di noi, battezzato e inviato a svolgere la stessa missione di Cristo, che è stata quella di consolare tutti gli afflitti e proclamare la liberazione. Questa è stata la solenne affermazione di S. Paolo: Dio ci consola in ogni nostra tribolazione perché anche noi possiamo consolare quanti attorno a noi vivono nell’afflizione.
Miei cari, dobbiamo assumere questa sollecitazione alla consolazione, che ci viene dalla Parola di Dio, come liberazione da ogni forma di schiavitù, morale e materiale, impegnando non solo l’emotività delle parole dolci e affettuose, ma compiendo invece gesti “politici” e profetici di solidarietà (politici nel senso di impegno e di amore verso la polis, ossia, in definitiva, verso l’uomo, ogni uomo!). Solo così i contorni culturali, sociali e devozionali che avvolgono la festa religiosa del patrono religioso di una realtà civile, non si riducono solo ad un’eredità, bella quanto si vuole, ma anche fatalmente vuota, perché riverbero solo di un passato culturale. Tutti dobbiamo cercare con umiltà e sincerità, nel rispetto della verità, di dare contenuto ad affermazioni che ripetiamo senza forse badarci: celebriamo la festa della patrona di Reggio. Consolate il mio popolo.
Il pensiero va in questo momento alla tragedia dell’immigrazione, che il porto della nostra città ha dovuto affrontare a drammatiche scadenze, ogni qual volta avveniva uno sbarco a qualunque ora del giorno e della notte. La città ha saputo rispondere con dedizione e amore a questa sfida attraverso una fattiva collaborazione tra istituzioni e volontari, cattolici e non cattolici, che ha reso ammirevole, agli occhi di tutti, la prima accoglienza di tanti disperati. È un dono che noi credenti vogliamo offrire a Maria.
Ai perseguitati politici e agli immigrati è stata offerta in nome di Gesù Cristo e del suo Vangelo, almeno da parte cristiana, quella misericordia che è dono assoluto dell’amore di Dio. È stato dimostrato ancora una volta che la nostra società, pur disponendo di un sistema sociale ben funzionante, non può cavarsela senza la misericordia dei cuori generosi, che è come fondamento e parte innovativa e motivazionale della giustizia. La preoccupazione è che la consolazione della prima accoglienza non abbia trovato seguito con un dignitoso inserimento nella società. Consolate il mio popolo. Ma l’attenzione agli immigrati non può farci perdere quella verso i nostri concittadini, anch’essi bisognosi di aiuto e di assistenza. La pietà verso l’immane tragedia dell’esodo senza fine di queste migliaia di persone, che fuggono dalla povertà e dalla guerra, potrebbe farci dimenticare le tragedie della nostra gente, registrate quotidianamente dai Centri di Ascolto delle nostre sedi caritas. Voglio farmi interprete del bisogno di consolazione di questa nostra gente, anche se consapevole di poter essere frainteso.
È drammatico assistere ad una politica di tagli continui in ogni settore dell’apparato economico e sociale, che stanno facendo della nostra Calabria un pezzo di terra appeso solo con un filo al resto dell’Italia: tagli nei trasporti aerei e ferroviari, tagli nella sanità, tagli nell’apparato amministrativo con continue perdite di posti di lavoro e con infrastrutture alcune volte da terzo mondo. Ancora una volta il rapporto Svimez ci ha collocati all’ultimo posto.
Denunciare questa difficile situazione non è populismo o demagogia: è annunciare, gridandolo, se fosse necessario, il bisogno di dignità e di consolazione che trasuda dalla vita e dal cuore della nostra gente! Come non ricordare lo stato di sofferenza di tante strutture di assistenza e di accoglienza, che non ricevono quanto è dovuto dalle istituzioni e sono abbandonate a loro stesse, abbandonate ad arrangiarsi per continuare a prestare il loro servizio agli ultimi e ai meno fortunati nella vita? Come non ricordare il problema della casa e del salario minimo che manca a molti, mentre la soglia di povertà di tante nostre famiglie aumenta paurosamente e si fa sempre più insopportabile?
Come non pensare ai nostri giovani, spesso quelli più capaci e dotati, che abbandonano la nostra terra arricchendo altre terre e impoverendo sempre più la nostra? Consolate il mio popolo. Riascoltando la prima lettura, che parla dello Spirito che si è riversato sul consacrato, ho pensato a tutte le volte che ascolto questa pagina della Bibbia amministrando il Sacramento della cresima. Lo Spirito del Signore è su di me e mi ha mandato. E penso alle centinaia di giovani sui quali invoco questo Spirito, che segno con il Crisma, ai quali chiedo di rinunciare al peccato e di fare la scelta preferenziale di Gesù Cristo e del suo Vangelo, e dai quali ricevo l’assenso: si rinuncio, si credo. Ma, se mi guardo attorno, vedo i problemi di sempre della nostra città e della nostra terra. Nulla cambia; l’atto religioso non è penetrato nell’animo e non l’ha cambiato; è rimasto lo stesso. In più ha solo un pezzo di carta che lo abilita ad altro rito, ad altro pezzo di carta.
Poveri sacramenti! che brutta fine fanno in alcuni! Abbiamo davanti la progressiva scristianizzazione, il pensiero secolare che si sta infiltrando dappertutto, la corruzione diffusa, l’odio sociale e politico, la deriva della maldicenza o della distorsione della verità, la droga con il triste primato della Calabria in materia, la malavita organizzata, la ‘ndrangheta, con il primato che abbiamo raggiunto in essa di aver sorpassato le altre mafie: tutte queste cose sono davanti a noi a ricordarci quanto siamo lontani dal Vangelo di Gesù Cristo, quanto sia opportuno, se non addirittura urgente, ridare senso ad un patronato religioso sulla città. Maria, nostra Patrona può essere contenta di ciò? Ci sarebbe da versare lacrime su una ritualità cristiana ormai senza senso.
Si scelga pure la strada che si vuole per dare senso alla propria vita, ma non pretendiamo di far incrociare la strada che scegliamo con quella cristiana. Ma noi non cederemo mai alla tentazione di sterili piagnistei o di pericolosi pessimismi, per quanto realistici! Non lo faremo in nome della nostra fede! Non lo faremo perché sentiamo nelle nostre vene la forza della speranza!
Non lo faremo per amore della nostra gente, la più semplice, la quale, forse, proprio nella semplicità che la contraddistingue, capisce di più le implicanze del patronato della Vergine per la vita. Non lo faremo per tutti quei bravi cristiani che amano veramente la Madonna e vogliono accogliere il suo invito a seguire Gesù. Non lo faremo per tutte quella famiglie che nelle parrocchie hanno preso con impegno la trasmissione della fede. Non lo faremo per tutti i giovani dei nostri gruppi parrocchiali che credono ancora nella proposta educativa della Chiesa. Non lo faremo per tutti quei volontari che nelle iniziative delle caritas diocesana e parrocchiali si aprono alla solidarietà verso gli ultimi.
Non lo faremo soprattutto noi, miei cari sacerdoti-duiaconi-religosi, che, pur con i nostri limiti, abbiamo consacrato la vita per la causa del Vangelo. Non lo faremo perché tutti amiamo le sorti di questa città e tutti, insieme, lavoreremo, come stiamo facendo, per la sua rinascita, per la soluzione dei problemi che la attraversano, i problemi veri, reali, quelli che sono sotto gli occhi di chi “respira” il profumo e la fatica del nostro popolo! Si, miei cari: oggi per questa nostra città noi accettiamo l’invito del Signore ad annunciare la buona notizia della consolazione: consolate il mio popolo! E lo facciamo forti delle parole dell’Apostolo: la nostra speranza nei vostri riguardi è ben salda.
Questa speranza trae forza dalla promessa del Signore: non vi lascerò orfani! Lo facciamo con il rinnovato impegno della nostra Chiesa diocesana, presbiteri e laici, a ripartire con entusiasmo nel nostro servizio pastorale, impegnandoci nuovamente a raccontare la fede, quella fede nella quale abbiamo trovato la nostra gioia e che ci dà forza e ci sostiene nelle prove della vita.
Coraggio, allora, amata comunità ecclesiale che sei in Reggio Bova! Coraggio amata città di Reggio! È per te, come ho detto qualche giorno fa, la parola del Signore “effatà”, cioè l’invito ad aprirti alla speranza che non delude, alla consolazione che sostiene l’impegno a ripartire! In questa gara a fare il bene, ed a farlo per bene ed in nome del Bene, c’è posto per tutti!
La nostra celeste Patrona ci assicura che Cristo e il suo Vangelo non saranno mai sradicati dalla società. Cristo rimarrà sempre vivo e presente fra noi, anche se, talvolta, facciamo fatica a riconoscerlo. Sarà la sua presenza silenziosa e nascosta che darà consolazione alla nostra chiesa, alla nostra città con il dono di quella pace, che il mondo non può dare.
A noi, carissimi sacerdoti e laici impegnati, la missione di farlo riscoprire anzitutto con la testimonianza della nostra vita e poi con l’annunzio fedele. Anche quest’anno noi vogliamo celebrare così la festa della Madonna della Consolazione, nostra patrona: all’insegna di questa speranza. Accogliamo da lei le parole rassicuranti del Vangelo: Non sia tentato il vostro cuore e non abbiate timore!