ROMA – Chi ha frequentato il mondo della moda non può non aver incrociato una signora matura in prima fila alle grandi sfilate, dai grandi occhi azzurri, due murrine color acquamarina “che parlano”, sempre molto elegante e sorridente. È Luciana Boccardi, scrittrice e giornalista veneziana, critica della moda e attenta osservatrice del costume.
Una firma piacevole da leggere sul Gazzettino, ma ancor più deliziosa da ascoltare, con la sua parlata veloce, i suoi aneddoti e le storie di una vita, trascorsa tra sfilate, interviste e valigie. Ora a questa decana della moda viene dedicata una biografia con un titolo la consacra definitivamente: “La Boccardi – Storia della decana del giornalismo di moda e costume”, biografia firmata della collega giornalista Alda Vanzan (Supernova, 128 pagine, 11,40 euro).
“Mai paura di niente” è il motto di Luciana Crovato, in arte Luciana Boccardi, nota ai più come La Boccardi. Una frase appresa dal padre, musicista, dopo l’incendio che gli bruciò gli occhi trascinando la famiglia in povertà. Una frase che l’avrebbe accompagnata sempre, fin da quando fu costretta ad abbandonare gli studi, a lavorare di giorno e a frequentare un corso di stenodattilografia la sera, fino a diventare una “mitraglietta”.
La sua “università” fu la Biennale. L’approdo al giornalismo, un premio per un racconto breve consegnatole da Georges Simenon. Poi sarebbero arrivati i libri e la direzione di due riviste, le sfilate organizzate a San Marco e al Lido, la fase “femminista” e l’amore spassionato per la sua Venezia con le battaglie per i referendum, perfino un ristorante suggeritole da un amico stilista. Ma soprattutto la giornalista, assegnata alla moda in un tempo in cui le sfilate stavano nella pagina dei necrologi.
Del resto erano ancora gli anni in cui il défilé serviva per presentare i vestiti: «Un numerino per ogni abito. Il tutto in un silenzio religioso». E le modelle? «Inesistenti». Per capire, «Marta Vacondio che lavorava in un atelier come sartina, e indossatrice quando serviva, ha dovuto sposare Marzotto per diventare famosa».
Poi arrivarono i rutilanti anni ’80, con le super-top di Gianni Versace, il compianto stilista che scriveva a Luciana: «Cara signora, la moda italiana ha bisogno di lei» (ma Re Giorgio Armani le dà ancora del tu: «Grazie per avermi conferito la medaglia di chi è riuscito ad alzare una barriera contro la volgarità. È il miglior complimento che mi potevi fare!»). Da questo punto di vista, la Boccardi ne ha per tutti (e, come annota la Vanzan: «Ecco, il problema non era farla parlare. Era farla smettere»).
Valentino? «La gentilezza». Claudia Schiffer? «Un libro mastro vivente». Krizia? «Un po’ spietata. Ma tanto brava». Naomi Campbell? «Maleducata». Dolce&Gabbana? «Terribilmente volgari».
Il preferito? «Senza dubbio Emanuel Ungaro», il mentore che la convinse perfino ad aprire un ristorante a Castello, dove proporre il risotto alla Sultana tramandato dalla nonna con gli avanzi del fritto di Carnevale.
Anche se davvero memorabili sono i ricordi delle cene preparate da Alfredo e Arturo del Toulà per la maison Missoni: «C’era di tutto, ma solo e rigorosamente cucina veneta che sia Ottavio che Rosita apprezzavano tanto». Mentre adesso ci sono “pasticcini tutti uguali, senza sapore” e “l’ignoranza e la supponenza” dei pierre a cui Luciana è orgogliosamente allergica: «Sono una fuori serie. Niente cerchi magici, in nessun caso della mia vita». Leggere per credere l’episodio, visto con i suoi occhi e riportato da nessuna testata, della torta in faccia ad Anna Wintour.
Nelle 128 pagine del libro, scritto dalla giornalista Alda Vanzan e pubblicato dalla casa editrice veneziana Supernova, ci sono le sue lotte, un carattere non facile, la caparbietà e la voglia di arrivare, ma ci sono sicuramente anche i contorni di un viaggio professionale di quelli che non si compiono più. (ansa)