ROMA – La libertà di stampa era solo una delle tante promesse al vento dei talebani tornati al potere: il nuovo regime non vuole testimoni tra i piedi. Lo hanno capito a loro spese anche due giovani giornalisti afghani, Taqi Daryabi, fotografo di 22 anni, e Nematullah Naqdi, cameraman di 28, che volevano seguire per il loro giornale Etilaat Roz (uno dei principali quotidiani dell’Afghanistan) una manifestazione di donne che protestavano per i loro diritti davanti a un commissariato di Kabul. Prima le minacce per strada e il tentativo di togliere loro la telecamera – che i due reporter sono però riusciti a consegnare di nascosto a una dimostrante –, poi sono stati trascinati di forza dentro lo stesso commissariato e picchiati per ore.
In una stanza vuota, «i talebani hanno cominciato a insultarmi, a prendermi a calci in quattro o cinque. Mi hanno legato le mani dietro la schiena, mi hanno buttato a terra e picchiato con bastoni, cavi, tubi, tutto quello che trovavano. Ho temuto che mi uccidessero», ha raccontato Nematullah all’Afp.
«Gridavo, continuavo a ripetere che sono un giornalista. Ma non gli importava e mi hanno preso a calci in testa e sulla schiena», ha proseguito. «E dopo averci picchiati, ci hanno detto: “Ora avete capito cosa succede se filmate?”».
Una volta liberati i due sono tornati in redazione, si sono spogliati con dolore e fatica, per farsi fotografare dai colleghi e mostrare al mondo il vero volto dei talebani: enormi ematomi sulla schiena e sulle gambe, segni di frustate, ferite, anche sul volto.
«La situazione dell’informazione è drammatica, oltre 100 media hanno smesso di funzionare lo scorso mese», riferisce un rapporto dell’Easo, l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo. Inoltre, «i talebani rastrellano i giornalisti afghani casa per casa», specialmente quelli che hanno lavorato per gli Stati Uniti o per il precedente governo afghano.
«Per loro, noi giornalisti siamo dei nemici», ha detto il giovane Taqi, anche lui malridotto dalle botte. Quando ha chiesto ai talebani perché lo stessero picchiando, uno di loro gli ha risposto: «Sei fortunato che non ti abbiamo decapitato». (ansa)
I talebani non vogliono testimoni e ammoniscono: “Sei fortunato che non ti decapitiamo”