WASHINGTON (Usa) – Clamorosa rivelazione del fondatore di Amazon e proprietario del Washington Post, Jeff Bezos. Il patron del colosso dell’ecommerce accusa l’editore del National Enquirer, giornale scandalistico controllato dalla American Media Inc (Ami) di “ricatto ed estorsione”.
In un post su Medium, Bezos denuncia il proprietario del tabloid, David Pecker, alleato e amico di Trump, di aver minacciato di pubblicare gli sms e le foto osé inviate alla giornalista Lauren Sanchez, con la quale ha una relazione. È solo l’ultimo capitolo di una intricata saga sulla vita privata dell’uomo più ricco del pianeta.
Bezos e la moglie MacKenzie hanno annunciato il divorzio il mese scorso, dopo 25 anni di matrimonio e dopo un periodo di separazione. Lo stesso giorno, il National Enquirer – autore dello scoop sull’affaire di Bezos con la Sanchez – ha detto che avrebbe pubblicato le foto e gli sms scottanti.
Lo scoop del Nationa Enquirer, l’indagine di Bezos
Bezos ha deciso di indagare affidando il dossier all’esperto di sicurezza Gavin de Becker che ha lavorato nello staff del presidente Ronald Reagan e che ha scoperto motivazioni politiche dietro il ricatto del National Enquirer.
«Nella lettera di Ami che rendo pubblica, vedrete i dettagli precisi della proposta di estorsione», scrive Bezos, nel post intitolato “No, grazie Mr. Pecker”. Nelle email di ricatto inviate, Ami minaccia di pubblicare le foto a meno che Gavin de Becker e Bezos non rilascino false dichiarazioni alla stampa indicando «di non essere al corrente o di non avere elementi”»per sostenere che la copertura del giornale aveva motivazioni politiche.
Il Ceo di Amazon svela dunque un complesso intreccio di rapporti tra lo stesso editore dell’Enquirer, Trump e i sauditi.
«Dopo che Mr. Trump divenne presidente, ricompensò la lealtà di Mr. Pecker con una cena alla Casa Bianca alla quale l’executive dei media portò un ospite con importanti legami con i reali in Arabia Saudita. All’epoca, il signor Pecker si occupava di affari e cercava finanziamenti», rivela Bezos. Pecker sarebbe anche coinvolto in pagamenti a donne che sostengono di aver avuto una storia con Trump, comprandone esclusiva per poi non pubblicarla.
L’affondo a Trump
«Se nella mia posizione non sono in grado di reagire a questo tipo di estorsione, chi altro può farlo?», osserva Bezos, spiegando che l’editore dell’Enquirer ha acconsentito a mettere tutto per iscritto giudicando la sua proposta non rifiutabile. Ma lui non ha ceduto: «Invece di capitolare per estorsione e ricatto ho deciso di pubblicare esattamente quello che mi hanno mandato, nonostante i costi personali e l’imbarazzo che minacciano».
Dunque l’affondo diretto a Trump. «La mia proprietà del Washington Post è una cosa molto complicata. È inevitabile che certe persone potenti, oggetto della copertura del giornale, pensino che io sia un loro nemico. E il presidente Trump è una di queste persone, come appare ovvio dai suoi tanti tweet».
«Naturalmente non voglio che foto personali vengano pubblicate ma non voglio nemmeno partecipare alla loro ben nota pratica di ricatti, favori politici, attacchi politici e corruzione», conclude Bezos, difendendo il Washington Post e la sua missione: la verità, anche sulla morte del giornalista saudita dissidente Jamal Khashoggi, ucciso nel consolato di Riad a Istanbul lo scorso 2 ottobre. (agi)