MOSCA (Russia) – A Pietroburgo il vento della protesta gonfiava le vele dei rivoluzionari. Lo zar lasciava la capitale e l’impero entrava nella sua fase finale. È proprio in una di quelle notti che un manipolo di bolscevichi – fra cui Lenin – requisì una tipografia e in pieno stile comunista – «ci correggevamo le bozze a vicenda, senza vanità», ricorda nelle sue memorie Vladimir Bonch-Bruevich – diede vita al giornale della rivoluzione: Izvestia.
Il primo numero, con una tiratura di 100mila copie, vide la luce il 13 marzo del 1917. Due giorni dopo Nicola II abdicava: la Russia non sarebbe stata più la stesa.
Oggi, 100 anni dopo, Izvestia continua a trovare la via verso le edicole. Ma i fasti del glorioso quotidiano di Lenin – la “voce” del Cremlino per tutti i lunghi anni di vita dell’Urss, feroce competitor della Pravda, che invece faceva capo al Partito Comunista – sono ormai consegnati alla storia. Rinato dalle ceneri del crollo dell’Unione Sovietica in veste liberale, in continuità con l’appoggio totale alle politiche riformatrici di Gorbaciov, dal 2008 fa parte del National Media Group di Yuri Kovalchuk, fedele alleato di Vladimir Putin.
L’appoggio incondizionato allo “zar” – e lo stile sempre più tabloid adottato nel corso di questi anni – è costato caro al giornale in termini di consenso fra i lettori russi e ora Izvestia può contare su una tiratura di sole 70mila copie.
«La testata – dice al Moscow Times Oleg Kashin, giornalista che ha Izvestia ha lavorato brevemente nel 2004 – ha chiaramente dissipato il suo brand e le sue risorse e non mi sorprenderei se chiudesse». Un giudizio forse troppo duro non condiviso dalla redazione del giornale, che rivendica una presenza online sempre più capillare e l’orgoglio di appartenere, comunque, a uno dei quotidiani più prestigiosi della Russia.
È innegabile però che l’epoca delle otto milioni di copie è ormai solo un lontano ricordo. A suo modo, Izvestia è sempre stato una cartina di tornasole del rapporto media-potere e se con Stalin il giornale veniva usato come arma contro “i nemici dello Stato” – il “mitico” direttore Nikolai Bukharin partecipò al siluramento di Trotsky per poi essere liquidato a sua volta all’epoca delle purghe in un celebre processo sommario e dunque giustiziato – con Krusciov divenne un laboratorio per testare la politica di apertura del nuovo leader e gli fu permesso persino di criticare la politica economica del governo.
Al netto della rigidità del sistema sovietico – eufemismo – Izvestia ha sempre potuto rivendicare la maggior “autonomia” all’interno del blocco sovietico. E così, quando Putin ha deciso di varare la sua politico di controllo dei media, non è dunque un caso che “l’attacco” alla carta stampata sia partito proprio da Izvestia, con il licenziamento, nel 2004, dell’allora direttore Raf Shakirov.
«Fu una decisione politica – ricorda al telefono col Moscow Times – perché era chiaro che il consenso verso Putin stava calando in seguito ai fatti di Beslan». Che il giornale, al tempo in mano all’oligarca Vladimir Potanin, aveva coperto avidamente.
«Fu l’inizio di una nuova epoca: il ripiegamento della democrazia e delle riforme di Eltsin», sentenzia Shakirov. Il declino di Izvestia, a ben vedere, inizia lì. (ansa)
A 100 anni dal primo numero, il 13 marzo 1917, è in edicola con 70mila copie