ROMA – Sempre più italiani chiedono la residenza all’estero. Nel 2016 si è registrato un boom di giovani che se ne vanno dal nostro Paese. Nel 2016 se ne sono andati in 48.600 nella fascia di età tra i 18 e i 34 anni. Lo registra il Rapporto della Fondazione Migrantes della Cei, che parla di 5 milioni di italiani che si sono trasferiti in Europa e nel mondo, con un aumento del 3,3% in un solo anno. Rispetto al 2015 c’è stato un aumento del 23,3%. L’8,2 degli italiani vive fuori dai confini nazionali.
Alla presentazione, a Roma, sono intervenuti, mons. Guerino Di Tora, Presidente della Fondazione Migrantes, don Gianni De Robertis, direttore generale della stessa Fondazione, il direttore di Tv2000, Paolo Ruffini, Delfina Licata, curatrice del Rapporto, Salvatore Ponticelli della Direzione Centrale Pensioni dell’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale, Andrea Riccardi, presidente della Società Dante Alighieri, il sottosegretario del Ministero degli Affari Esteri e Cooperazione Internazionale con delega agli italiani nel mondo, Vincenzo Amendola e il segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana, mons. Nunzio Galantino. A moderare i lavori il giornalista Franz Coriasco.
Nel dettaglio, da gennaio a dicembre 2016, le iscrizioni all’Aire per solo espatrio sono state 124.076 (+16.547 rispetto all’anno precedente, +15,4%), di cui il 55,5% (68.909) maschi. Il 62,4% sono celibi/nubili e il 31,4% coniugati/e. Oltre il 39% di chi ha lasciato l’Italia nell’ultimo anno ha un’età compresa tra i 18 e i 34 anni (oltre 9 mila in più rispetto all’anno precedente, +23,3%); un quarto tra i 35 e i 49 anni (quasi +3.500 in un anno, +12,5%).
“Le partenze – spiegano i ricercatori – non sono individuali ma di ‘famiglia’, intendendo sia il nucleo familiare più ristretto, ovvero quello che comprende i minori (oltre il 20%, di cui il 12,9% ha meno di 10 anni) sia la famiglia ‘allargata’, quella cioè in cui i genitori – ormai oltre la soglia dei 65 anni – diventano ‘accompagnatori e sostenitori’ del progetto migratorio dei figli (il 5,2% del totale).
A questi si aggiunga il 9,7% di chi ha tra i 50 e i 64 anni, i tanti ‘disoccupati senza speranza’, tristemente noti alle cronache del nostro Paese poiché rimasti senza lavoro in Italia e con enormi difficoltà di riuscire a trovare alternative occupazionali concrete per continuare a mantenere la propria famiglia e il proprio regime di vita. Le donne sono meno numerose in tutte le classi di età ad esclusione di quella degli over 85 anni (358 donne rispetto a 222 uomini): si tratta soprattutto di vedove che rispondono alla speranza di vita più lunga delle donne in generale rispetto agli uomini”.
Il continente prioritariamente scelto da chi ha spostato la propria residenza fuori dell’Italia nel corso del 2016 è stato quello europeo, seguito dall’America Settentrionale. Il Regno Unito, con 24.771 iscritti, registra un primato assoluto tra tutte le destinazioni, seguito dalla Germania (19.178), dalla Svizzera (11.759), dalla Francia (11.108), dal Brasile (6.829) e dagli Stati Uniti (5.939).
La Lombardia, con quasi 23 mila partenze, si conferma la prima regione da cui gli italiani hanno lasciato l’Italia alla volta dell’estero, seguita dal Veneto (11.611), dalla Sicilia (11.501), dal Lazio (11.114) e dal Piemonte (9.022). Il Friuli Venezia Giulia è l’unica regione con meno partenze: (-300 friulani, -7,3%). In generale gli italiani sono partiti da 110 territori verso 194 destinazioni diverse nel mondo.
A livello provinciale le partenze dell’ultimo anno, registrano, accanto alle grandi e popolose metropoli italiane quali Roma, Milano, Torino e Napoli, contesti locali minori come la città di Brescia (oltre 3 mila partenze). Nuova entrata, ultima tra le prime 10 province, Varese (2.289 partenze nell’ultimo anno). (adnkronos)
Mons. Galantino: “Un errore associare sempre l’immigrazione alla povertà”
MODENA – “Quando si parla di povertà, la mente va subito ad afferrare le immagini di chi sbarca sulle nostre coste, degli immigrati che hanno scelto di vivere stabilmente sul nostro territorio. Non si può cadere nell’errore di associare sempre e comunque l’immigrazione alla povertà”. A dirlo, ieri pomeriggio, il segretario generale della Cei, mons. Nunzio Galantino, intervenuto al Festival della Migrazione di Modena, iniziativa promossa da Fondazione Migrantes, Porta Aperta, Università di Modena e Reggio Emilia, IntegriaMo e da altre 35 enti del territorio.
Parlando del tema “Disuguaglianza, povertà e migrazione” mons. Galantino ha sottolineato che “questo stretto legame tra immigrazione e povertà chiede che le politiche migratorie siano strettamente connesse con le politiche di sviluppo, che la salvaguardia del diritto di migrare sia connesso con la salvaguardia del diritto di rimanere nel proprio Paese”. Parlando della povertà degli immigrati in Italia, è preferibile – ha poi aggiunto – affrontare la questione non con i parametri della povertà, sia questa assoluta o relativa, ma con quelli del disagio socio-economico che meglio descrive la condizione dei migranti oggi”.
Il segretario generale della Cei ha citato lo studio condotto da ben 26 anni dalla Fondazione Migrantes insieme alla Caritas Italiana “Rapporto Immigrazione” ed ha sottolineato le difficoltà di accesso ad un lavoro regolare, all’abitazione, all’istruzione, alla sanità: “è questo che rende la vita del migrante svantaggiata rispetto a quella degli autoctoni. Il vero nodo della questione è verificare in che modo la povertà colpisce la popolazione migrante nell’educazione, nelle competenze professionali e in tutto ciò che costituisce il naturale percorso per un corretto inserimento degli immigrati”.
Una politica migratoria – ha detto il vescovo – “non può non prevedere una dinamica e legittima regolamentazione all’ingresso, il facile accesso ai servizi di base, la tutela dei lavoratori e delle loro famiglie, fino ad arrivare alla protezione sociale e internazionale, ai ricongiungimenti familiari, alla partecipazione e alla cittadinanza: tutti aspetti oggi deboli nell’affrontare politicamente la migrazione in Italia.
Il fenomeno dell’immigrazione chiede più che politiche di contrasto, politiche di inclusione sociale e di dialogo che aiutino a non far leggere l’incontro e il rapporto con persone e popoli nuovi ingenuamente e semplicemente con ‘orgoglio e rabbia’, ma con attenzione alla verità dei fatti e degli accadimenti e soprattutto, vista la grave situazione demografica, occupazionale, economica italiana – che coinvolge soprattutto i giovani, indistintamente italiani e di origine non italiana – occorrono lungimiranza e saggezza perché davvero si innesti un processo di rinascita e sviluppo. Quest’ultimo – ha detto ancora – deve partire dal mettere al centro i giovani suddetti: occorre dare ai giovani la possibilità di diventare attori del loro presente e si avverte la necessità che l’Italia rinasca a partire dalla sua endemica multiculturalità.
Non possiamo tralasciare 5 milioni di cittadini che vivono stabilmente nelle nostre città; non possiamo volgere le spalle ai tanti giovani che reclamano di poter essere – non solo sentirsi – italiani. L’insieme è sempre più della forza delle parti: i dati sulla povertà sono numeri gravi, seriamente preoccupanti. Numeri incredibili che dovrebbero riuscire a smuovere le coscienze, a smuovere le persone tutte, ma anche le agende politiche di chi decide affinché gli scarti non siano lasciati ai margini”. (giornalistitalia.it)