MONZA – Non è più un cronista su strada, e si occupa da anni di altri settori, ma anche dal suo letto di ospedale, appena è stato meglio, Carlo Gaeta, 61 anni, giornalista brianzolo, ha continuato a scrivere, per raccontare il momento più brutto della sua vita.
«In realtà sono stati gli stessi sanitari a insistere – ha precisato dall’ospedale di Legnano all’Ansa, di cui è stato corrispondente sportivo negli anni ’80 seguendo anche il Gp di F1 – mi hanno detto “sei un giornalista? allora spiega un po’ che succede perché la gente là fuori ancora non capisce”».
Così Gaeta, che 5 anni fa ha fondato il magazine “Il bello e il buono della Brianza”, capoufficio stampa del Comune di Monza dal 2007 al 2012 e volto noto in autodromo, come speaker ufficiale e cerimoniere del Premio Confartigianato Motori, ha lanciato pochi giorni fa il primo messaggio su Fb, parlando a fatica, sotto la maschera di ossigeno, con il rumore dei macchinari di sottofondo.
«Non fate i cretini, state a casa, è il momento di fare un po’ di sacrifici per il bene di tutti. – ha ripetuto nell’appello che in poche ore ha avuto 150.000 visualizzazioni – Non immaginate cosa può accadere, non sottovalutate questo virus».
Anche lui, molto prudente per natura, mai avuto problemi seri di salute, aveva preso tutte le precauzioni, eppure il contagio lo ha raggiunto lo stesso.
«Ancora non riesco a capire come – ha ammesso – ci ho pensato e ripensato, e la sensazione rimane quella di un contatto estemporaneo, magari l’aver semplicemente toccato qualcosa contagiata da un portatore sano».
Era la sera del 5 marzo quando, dopo una tranquilla cena in famiglia, ha cominciato a stare male. «La notte – ha raccontato – prima avevo avuto brutti brividi, quella sera improvvisamente una forte nausea, stavo quasi per svenire, è arrivata la febbre. Ho capito subito cosa era e che dovevo mettermi a letto e in quarantena».
Telefonate al medico di base, farmaci per abbassare la febbre che non mollava, totale mancanza di appetito, la comparsa della tosse secca, due chiamate al numero di emergenza con la stessa risposta “richiami quando le manca il respiro”.
«Quando salire la scala interna del mio appartamento è diventato come scalare una montagna – ha continuato – ho capito che ero al limite». Dieci giorni dopo la comparsa dei primi sintomi in ambulanza viene portato all’ospedale di Erba (Como), il primo disponibile, per essere trasferito 4 giorni dopo a quello di Legnano. «Ho avuto paura, temuto di non farcela, ma – ha raccontato – sono sempre stato lucido e ho visto quel che succede. I giorni più brutti sono stati quelli sotto il Cpap, il casco ventilatore, poi il bombardamento di pastiglie e farmaci secondo il protocollo sperimentale».
«Ora sto meglio, ieri per la prima volta – ha concluso – sono riuscito ad alzarmi e andare in bagno da solo, mi è sembrato un grande traguardo. Mi ritengo fortunato, il personale medico è stato meraviglioso in entrambi gli ospedali, se tutto va bene tra una settimana potrei essere dimesso, ma voi là fuori state attenti, potrebbe diventare un’ecatombe». (ansa)