ROMA – A conclusione di una vertenza giudiziaria durata una quindicina d’anni, l’Inpgi 1 non otterrà i circa 2 milioni 200 mila euro che pretendeva dalla Rai per contributi previdenziali omessi e sanzioni civili, in relazione al rapporto di lavoro intrattenuto tra il 2000 e il 2003 con il grande giornalista emiliano Enzo Biagi (scomparso 14 anni fa) per il programma televisivo “Il Fatto”.
La sezione lavoro della Cassazione con ordinanza n. 22264 del 4 agosto 2021 (presidente Antonio Manna, relatore Francesco Buffa) ha, infatti, definitivamente respinto il ricorso dell’Inpgi ritenendo che Biagi abbia svolto nell’occasione lavoro giornalistico autonomo e non subordinato, come sosteneva l’ente di via Nizza, considerata la qualificazione del rapporto data dalle parti, l’assenza di assoggettamento gerarchico del giornalista al potere direttivo datoriale, l’assenza di inserimento nell’organizzazione dell’impresa (non riscontrabile nella mera successione di incarichi professionali autonomi) e l’ampia autonomia del giornalista nella ideazione e conduzione del programma.
Nel 1995 Biagi, uno dei volti più popolari del giornalismo italiano del Novecento, aveva iniziato a condurre la trasmissione “Il Fatto”, programma di approfondimento dopo il Tg1 sulle principali vicende del giorno, di cui egli era autore e conduttore. Tra le interviste andate in onda si ricordano quelle a Sophia Loren, a Marcello Mastroianni, ad Indro Montanelli, ma soprattutto le due realizzate a Roberto Benigni che decretarono poi la sospensione definitiva del programma perché ritenute in contrasto con la linea editoriale dell’azienda. Nel luglio 2000 la Rai dedicò a Biagi uno speciale in occasione del suo ottantesimo compleanno, intitolato “Buon compleanno signor Biagi! Ottant’anni scritti bene”, condotto da Vincenzo Mollica. Nel 2004 “Il Fatto” fu proclamato da una giuria di critici televisivi come il miglior programma giornalistico realizzato nei primi 50 anni della Rai.
A seguito di un’ispezione a Saxa Rubra l’Inpgi 1 aveva formalmente contestato alla Rai il mancato versamento dei contributi che l’ente radiotelevisivo di Stato avrebbe dovuto pagare, tra l’altro, per aver utilizzato Biagi in ben 700 puntate in 7 stagioni tv come direttore sempre presente in redazione. Ma prima il tribunale, poi la Corte d’appello di Roma hanno respinto le richieste dell’istituto previdenziale. Ed ora anche la Cassazione gli ha dato torto condannando l’Inpgi 1 a rifondere alla Rai circa 30 mila euro di spese legali.
Per i supremi giudici «non vi è una necessaria correlazione tra l’incarico di direttore di testata giornalistica e l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato con l’azienda proprietaria della stessa, essendo a tal fine necessario che in capo alla medesima persona, chiamata ad assolvere detta funzione di carattere pubblicistico, si cumulino altri e diversi compiti, svolti in modo tale da dimostrare l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione dell’impresa, con le caratteristiche essenziali della subordinazione e della collaborazione».
Va, comunque, sottolineata la cronica lentezza della magistratura del lavoro, tema su cui dovrebbero soffermarsi al più presto il presidente del Consiglio, Mario Draghi, e il ministro della Giustizia, Marta Cartabia, perché una vertenza come questa non può assolutamente durare una quindicina d’anni, in quanto si viola la normativa europea della Cedu in tema di ragionevole durata dei processi. Sono decisamente troppi, ma purtroppo è, ormai, quasi una regola comune a moltissimi altri casi analoghi. Insomma, in Italia non va risolto solo il tema della prescrizione in sede penale, ma va anche drasticamente accorciata la tempistica del processo del lavoro anche per rispettare proprio quella tabella di marcia prefissata quando fu varata la riforma in Parlamento.
Un ente previdenziale come l’Inpgi non può aspettare 15 anni – o anche di più – prima di sapere di aver vinto o perso una causa. Altrimenti si mette in pericolo la sua stabilità economica. (giornalistitalia.it)
Pierluigi Roesler Franz
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