MILANO – Nuovi dettagli, nuovi colpi di scena al processo Sopaf che, in un troncone, vede coinvolto l’Inpgi e il suo ex presidente Andrea Camporese, accusato di concorso in truffa per l’acquisto di quote del Fip (Fondo immobili pubblici), “il primo fondo di investimento promosso dalla Repubblica italiana nell’ambito di un più ampio processo di valorizzazione promosso dal Mef (Ministero dell’Economia e delle Finanze) attraverso il trasferimento/apporto di beni immobili a fondi comuni d’investimento immobiliare”.
Un ex dirigente dell’istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani, Giorgio Fano, aveva emesso due successivi pareri sull’operazione: uno negativo, l’altro positivo. Ebbene, le mail rinvenute – e prodotte dalla difesa di Camporese – dimostrano contatti del dirigente con un operatore finanziario, con base a Londra, al quale chiede consiglio, non conoscendo la materia, in vista di un incontro con il presidente dell’Inpgi.
I consigli, molto favorevoli all’investimento, arrivano però troppo tardi. Nel frattempo, il dirigente emette una nota negativa nella quale ritiene utile l’investimento con uno sconto del 10%. Dal dibattimento risulta, comunque, che lo sconto effettivamente ottenuto dall’Inpgi è stato dell’11%.
Nella seconda nota vengono riportati i consigli del trader londinese e il parere diviene favorevole. Non solo. Il dirigente, probabilmente violando il patto di riservatezza contrattuale, intratteneva corrispondenza via mail – anche questa presentata dalla difesa di Camporese – con Stefano Salone, consigliere generale dell’Inpgi e membro ella Commissione consultiva Bilancio. Su richiesta di Salone, Fano forniva confidenzialmente i contenuti di una lettera inviata da lui stesso al presidente dell’istituto di previdenza per mettere in discussione l’investimento.
Sentito, ieri a Milano, nel corso dell’udienza interamente dedicata all’Inpgi, Salone ha affermato, senza produrre alcuna prova, che gli risultava fosse stato il presidente Camporese a richiedere una successiva nota positiva a Fano. Ipotesi, questa, però smentita dalle mail e dal fatto che alla delibera sull’investimento non è stata allegata la nota negativa, né quella positiva. Nella procedura interna, invece, erano stati evidenziati i pareri positivi dei dirigenti del Servizio Immobiliare dell’Inpgi, Pietro Manetta e Francesco Imbimbo, chiamati a valutare la qualità e il rendimento degli immobili posti alla base del fondo.
L’investimento nel Fip ha fruttato all’Inpgi un rendimento annuo medio di circa il 9%. Il prezzo di acquisto, emerso nel dibattimento, è stato il migliore del mercato in quel periodo e lo sconto superiore a quello strappato da altri Enti previdenziali. Non solo. Al fine di incassare la cedola del semestre precedente (oltre 900mila euro di rendimento, in scadenza dopo pochi giorni), oltre allo sconto negoziato sulla quota ufficiale emessa per normativa (Nav), il presidente Camporese ha assunto una delibera d’urgenza, successivamente ratificata dal Consiglio d’amministrazione.
Dal dibattimento, inoltre, su iniziativa dei difensori di Giorgio Magnoni è emesso che Sopaf deteneva diverse decine di milioni di euro di quote Fip fin dalla data del collocamento, nel 2005, e le aveva negoziate sul mercato più volte a prezzi molto superiori di quelli pagati dall’Inpgi. La differenza di prezzo tra l’acquisto delle quote da parte di Sopaf e la vendita all’Inpgi, tema della truffa, non era quindi conoscibile, trattandosi di un fondo riservato che non pubblica i detentori delle quote, né tantomeno eventuali negoziati al ribasso in corso.
Sopaf, da quanto risulta agli atti, ha negoziato l’acquisto a sconto direttamente con il curatore fallimentare di Lehman Brothers, al tempo già fallita, che vendeva i propri prodotti “impacchettati” con Fip dentro uno strumento finanziario di una banca austriaca. (giornalistitalia.it)