MILANO – La riforma delle pensioni votata dal Consiglio d’amministrazione dell’Inpgi lo scorso 27 luglio (che deve ancora ottenere l’approvazione ministeriale) ha l’obiettivo di riequilibrare i conti nel medio e lungo periodo: ma nell’immediato, il Cda si è anche preoccupato di tutelare le colleghe e i colleghi che per colpa della crisi hanno perso il posto di lavoro, varando numerose clausole di salvaguardia. Queste clausole sono di tre tipi, e occorre spiegarle bene: cominciamo oggi dalla clausola C, che riguarda la possibilità per le donne rimaste disoccupate di continuare ad andare in pensione a 60 anni d’età, con almeno 20 anni di contributi versati, fino al 31 dicembre 2021. Ciò significa garantire loro una tutela previdenziale che si estende fino a oltre i prossimi 6 anni, e quindi riguarda persino colleghe che devono ancora compiere 54 anni d’età.
Questa salvaguardia, naturalmente, non riguarda tutte le giornaliste: quelle che oggi hanno un lavoro, avranno la pensionabilità con le nuove regole perché lo scopo della norma è salvaguardare chi invece il lavoro l’ha perso e non ha ancora la pensione, appunto le “esodate”.
Una polemica pretestuosa (che può anche definirsi dis-informazione tramite i social network) ha sostenuto che il Cda Inpgi “creato esodate” con la riforma varata il 27 luglio scorso: in realtà è vero proprio il contrario! Infatti, abbiamo tutelato tutte le colleghe “esodate”, e non solo quelle che (in base alla riforma precedente) avevano iniziato la contribuzione volontaria entro il giugno 2012, e quindi potranno entro il 2021 andare in pensione a 60 anni d’età senza alcuna penalizzazione. La riforma, infatti, tutela anche le colleghe rimaste disoccupate entro il 27 luglio 2015 e con almeno un mese di contribuzione volontaria.
Evidentemente la polemica è stata innescata dall’ignoranza (nel senso latino del termine), dato che il Cda Inpgi non ha modificato la norma del regolamento che consente ai giornalisti che chiedono la contribuzione volontaria di versare anche i sei mesi precedenti (compreso quello di presentazione della domanda). Quindi, per esempio, una collega “esodata” nata nel 1961 che presenterà la domanda in questo mese di settembre chiedendo di versare i contributi dal luglio scorso, pagando tre mesi di contributi volontari avrà diritto ad andare in pensione nel 2021 (con la penalizzazione del 10%) a 60 anni d’età, nella malaugurata ipotesi che non trovi nel frattempo un nuovo contratto di lavoro dipendente.
Perciò, in generale, la clausola di salvaguardia C riguarda tutte le colleghe nate entro il 1961 (non quelle più giovani) che, avendo cessato il rapporto di lavoro prima del 27 luglio scorso, si avvarranno della facoltà di chiedere, entro dicembre 2015, il versamento dei contributi volontari con copertura dei 6 mesi precedenti.
Questo è quanto prevedono le norme, che sono evidentemente complesse e vanno spiegate bene. La polemica non aiuta, ed è balzano definire “escamotage” una norma pre-esistente e non modificata del regolamento. Quello che stupisce è la contraddittorietà di gruppi sindacali che polemizzano e vorrebbero “salvare l’Inpgi” quando in tali gruppi si trovano anche le stesse persone che, con una gestione assai supina degli stati di crisi, hanno fortemente contribuito a mettere in crisi proprio l’Inpgi!
Ma del numero eccessivo di prepensionamenti (per i quali non ci sono i soldi statali, e su cui il Cda ha varato un’altra clausola di salvaguardia) tratteremo in un’altra occasione. Intanto, come sempre, sono disponibile per chiarimenti, ulteriori informazioni e consulenze su casi individuali.
Edmondo Rho
consigliere d’amministrazione Inpgi