ROMA – In vista delle ferie estive la sezione lavoro della Cassazione, presieduta da Antonio Manna, ha depositato una serie di importanti decisioni riguardanti i contributi previdenziali omessi con relative sanzioni civili che l’Inpgi 1 pretendeva dalla Rai in relazione ad ispezioni che avevano riscontrato rapporti di lavoro di natura subordinata intrattenuti da numerosi giornalisti pubblicisti e professionisti con l’ente radiotelevisivo di Stato.
Gli attesi verdetti non sono stati, però, uniformi: in un paio di casi l’ente di via Nizza ha visto riconosciute le sue ragioni, mentre in altri similari ha avuto torto. Tuttavia, vi è stato un identico comune denominatore: i tempi biblici della giustizia italiana che hanno penalizzato l’Inpgi 1, avendo travalicato i limiti fissati dalla normativa europea della Cedu in tema di ragionevole durata dei processi.
Insomma, non è affatto un caso isolato quanto è avvenuto nella vertenza vinta dalla Rai, ma solo dopo una quindicina d’anni sul caso di Enzo Biagi, direttore per 700 puntate in 7 anni de “Il Fatto”, programma di approfondimento di grandissimo successo che andava in onda dopo il Tg1 sulle principali vicende del giorno. Pertanto la Rai non pagherà i circa 2 milioni 200 mila euro pretesi dall’Inpgi 1 per contributi previdenziali omessi e sanzioni civili, in relazione al rapporto di lavoro intrattenuto tra il 2000 e il 2003 con il grande giornalista emiliano.
Una lentezza inammissibile, quasi da terzo mondo, soprattutto se si considera che la riforma del processo del lavoro si prefiggeva come sua principale caratteristica proprio verdetti abbastanza rapidi. Evidentemente al Consiglio Superiore della Magistratura non sta molto a cuore la giustizia del lavoro perché altrimenti si sarebbero già dovuti prendere per tempo i necessari correttivi.
Ci si augura, però, che il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che è di diritto anche il presidente del Csm, da super garante della Costituzione vorrà sollecitare la soluzione di questo problema soprattutto in quelle città italiane dove vi è carenza di giudici del lavoro e di personale di cancelleria rispetto alle necessità.
E confidiamo che anche il ministro della Giustizia ed ex presidente della Corte Costituzionale (prima donna nella storia della Consulta), Marta Cartabia, dopo aver rapidamente risolto il tema della prescrizione dei reati in sede penale, vorrà provvedere al più presto a trovare i migliori accorgimenti per dipanare questo delicato “nodo” giudiziario per far rispettare una tempistica delle cause di lavoro e previdenziali consona ad un grande Paese come l’Italia.
Ecco ora le altre quattro recenti decisioni della Suprema Corte che hanno sempre visto contrapposti Rai e Inpgi 1.
La prima è l’ordinanza n. 22254 del 4 agosto 2021 (relatore Enrica D’Antonio). In questo caso l’ispezione dell’Inpgi 1, riferita al periodo 1° marzo 1993 – 31 ottobre 1998, riguardava alcuni giornalisti praticanti e professionisti, dipendenti della Rai inquadrati con la qualifica di programmisti registi o assistenti ai programmi.
Era questa la seconda volta che la Suprema Corte si occupava della stessa vicenda. Ma non è stato sufficiente perché, come nel celebre proverbio popolare “non c’è due senza tre”, vi sarà prossimamente un terzo verdetto della Corte d’appello di Roma, essendo state ora accolte in pieno le tesi dei legali dell’Inpgi. Insomma, ben 23 anni (di cui 9 dalla prima decisione della Cassazione n. 16457 del 2012) non sono bastati a mettere la parola fine!
La seconda è l’ordinanza n. 22255 del 4 agosto 2021 (relatore Enrica D’Antonio). Anche in questo caso ha vinto l’Inpgi 1, essendo stato definitivamente respinto il ricorso della Rai che contestava il verdetto di appello che l’aveva condannata a pagare all’ente di via Nizza, come da decreto ingiuntivo, contributi previdenziali per 332 mila 325 euro in relazione al rapporto di lavoro di 14 giornalisti occupati presso la trasmissione “Porta a Porta”. Anche in questo caso sono trascorsi addirittura 7 anni tra la decisione della Corte d’appello di Roma (sentenza n. 3454 del 2014) e quella dei supremi giudici di piazza Cavour.
La terza è l’ordinanza n. 22258 del 4 agosto 2021 (relatore Rossana Mancino). In questo caso l’Inpgi 1 ha, invece, perso perché è stata confermata dopo 7 anni la sentenza n. 5916 del 2014 con cui la Corte di Appello di Roma, in accoglimento del ricorso della Rai, ha revocato il decreto ingiuntivo ottenuto dall’ente di via Nizza per contributi assicurativi asseritamente dovuti all’Inpgi per rapporti di lavoro subordinato giornalistico intercorsi con nove collaboratori.
La quarta è, infine, l’ordinanza n. 22265 del 4 agosto 2021 (relatore Francesco Buffa). Anche in questo caso ha perso l’Inpgi 1 perché è stato confermato il verdetto della Corte d’Appello di Roma che aveva parzialmente ribaltato il giudizio di 1° grado, respingendo in via definitiva le pretese dell’ente nei confronti della Rai di pagamento di 181 mila 274 euro per contributi previdenziali omessi, essendo stata esclusa la natura giornalistica dell’attività svolta da un gruppo di lavoratori. Va, tuttavia, sottolineato che dalla prima decisione del tribunale di Roma del 5 gennaio 2010 ad oggi sono trascorsi ben 11 anni e mezzo! (giornalistitalia.it)
Pierluigi Roesler Franz