LIVORNO – Sto seguendo, come immagino tutti i colleghi, pensionati e non, gli aggiornamenti al capezzale dell’Inpgi che, usando un’amara metafora di questi nostri tempi terribili, si trova nella necessità di una drammatica terapia intensiva. Leggo commenti entusiastici di un fresco incontro con rappresentanti del governo che, dopo le paure, l’autentico terrore di un tracollo senza speranza, improvvisamente aprirebbe prospettive da champagne, ricchi premi e cotillons.
Lo riferisce una nota dei consiglieri di maggioranza dell’Inpgi pubblicata dal sito delle Associazioni Regionali di Stampa che si riconoscono nell’attuale maggioranza Fnsi, che ho capito serve solo ai consueti e logori giochi di potere e nel quale mi ero già imbattuto nella fase più calda dello scontro su un altro fronte vergognoso della nostra storia di categoria: l’ex fissa. Ne avevo ricavato una pessima impressione, sia sul piano sostanziale per la insussistenza imbarazzata di argomenti al cospetto della rivendicazione di un diritto umiliato e calpestato, sia sul piano formale per i modi sgarbati, irrispettosi e supponenti, tipici dell’arroganza di chi sa solo abusare della propria postazione di potere. Evocativi della peggiore pagina della storia sindacale recente.
Ecco, in un quadretto simile, con tali rappresentanze sindacali e nella contingenza storica che stiamo vivendo, io mi permetto di invitare alla prudenza chi, anche tra i colleghi più competenti in materia, saggi e avveduti, prospetta scenari di coinvolgimenti istituzionali al massimo livello, appelli al Capo dello Stato compresi, quindi ad alto effetto mediatico, nella battaglia in difesa delle nostre pensioni.
Visto che, stringi stringi, al netto delle ingiustificate e seccanti euforie di chi si autocelebra, il succo delle ultime notizie si risolve in un rinvio di sei mesi della dichiarazione di morte dell’Inpgi, approfitterei della proroga per arricchire il dibattito sugli interventi necessari. Affrontando, per esempio, una questione malvissuta da sempre: la compatibilità, etica ed economica, del trattamento previdenziale garantito ai colleghi pensionati e contestualmente titolari, direttamente o, peggio, indirettamente attraverso società e formule di comodo, di redditi configurabili come lavoro dipendente per congruità e continuità prestazionale. E qui il “cumulo” c’entra poco o niente.
Perchè, oltre al danno sostanziale alle casse dell’Inpgi, c’è quello immateriale ma ancor più pesante, dell’impresentabilità d’immagine generale di una categoria che si appresta a chiedere il soccorso dello Stato in coincidenza con il momento storico dell’indice reputazionale più basso nella storia del giornalismo nazionale.
Senza contare la sottrazione vergognosa di risorse altrimenti utilizzabili per favorire almeno un briciolo di ricambio generazionale con adeguate garanzie contrattuali. Quel “largo ai giovani” di cui si inondano giornali, tv, web con l’ipocrisia di chi lo dice e lo scrive occupando per primo il posto che dovrebbe liberare per il nobile intento declamato.
Se vogliamo bussare alle casse pubbliche con un briciolo di residua credibilità, credo che sia decisivo presentarsi all’opinione, anch’essa pubblica, con qualche disponibilità a combattere almeno i privilegi oggi più che mai insopportabili a fronte anche e soprattutto degli effetti dell’emergenza pandemica.
Secondo verifiche più che attendibili, tra le cento firme che in tv, alla radio, sui giornali e ormai anche su alcune testate web collegate ai grandi gruppi editoriali, dominano la scena nei ruoli sempre più fantasiosi e compromessi di conduttore, infoentertainer, editorialista, commentatore, retroscenista, osservatore più o meno introspettivo e creativo, usciere, passacarte e receptionist, più di un terzo sono di pensionati. Alcuni con contratti che, da soli, basterebbero a garantire un ben più nutrito numero di assunzioni o comunque di trattamenti meno vergognosi a colleghi più giovani.
Siamo a una svolta storica per tutti. E credo che il giornalismo italiano, questo giornalismo ancora gonfio di privilegi solo per pochi, prima di presentarsi agli italiani in questo momento così delicato, farebbe bene a darsi una ripulita. Almeno d’immagine.
Perchè credo e temo che avrebbe ben poco successo una vertenza in nome dell’art. 21 e della libertà di stampa agli occhi di chi sta lottando per mettere insieme il pane con il companatico. L’abuso della retorica, come ben sappiamo, finisce per diventare sempre un pericolosissimo boomerang. (giornalistitalia.it)
Giuseppe Mascambruno
👍👏
Temo proprio che tu abbia ragione… e che sia arrivato il momento di una terapia intensiva a base di etica della professione.