TRIESTE – C’è la necessità di scelte condivise per risolvere i problemi più gravi. Non è più il tempo di maggioranza e opposizione, ma è indispensabile lavorare assieme per affrontare una crisi drammatica. Che tutto ciò si possa fare lo ha dimostrato la politica, con senso di responsabilità, in queste ultime settimane. Per affrontare la situazione drammatica – ed è quasi un eufemismo – in cui versa l’Istituto Nazionale dei Giornalisti Italiani, va percorsa la stessa strada.
Gli oltre 253 milioni di euro del bilancio e la relazione della Corte dei Conti sulla gestione finanziaria dell’Inpgi nel 2018 (quando la situazione non era ancora così critica) danno indicazioni chiare per arrivare a una soluzione. L’aspetto dell’allargamento della platea contributiva è solo uno dei temi posti dalla Corte che, contestualmente, evidenzia correttivi da apportare alla governance e la necessità di porre in essere “ulteriori” interventi per rimediare alla situazione.
È finito il tempo del “pagare moneta, vedere cammello”, traducendo in baratto – tra l’altro in una posizione di palese debolezza – la proposta fatta dall’Inpgi al precedente Governo, con una delibera di intenti che prevede il taglio delle pensioni presenti e future, in cambio dell’inserimento forzato dei cosiddetti comunicatori pubblici.
Per i giornalisti parliamo di tagli e rinunce che, comunque, se sommate agli aumenti contributivi derivati dall’ingresso dei comunicatori pubblici, non arriverebbero neppure a colmare metà degli oltre 253 milioni di rosso. In pratica, si tratterebbe di un inutile rattoppo per tirare avanti ancora qualche anno, prima di essere di nuovo costretti a questuare aiuti governativi o imporre ulteriori sacrifici a chi è in attività e a coloro che, dopo aver lavorato e aver pagato i propri contributi per tutta la vita, hanno il diritto di vivere il proprio pensionamento senza sorprese e rinunce.
Non sarebbe più utile puntare a un giusto ristoro da parte dello Stato per le centinaia di ammortizzatori sociali anticipati dall’Istituto negli anni, in forza di un principio finalmente riconosciuto con l’inserimento nella Finanziaria dell’emendamento Sensi-Serracchiani-Viscomi?
Emendamento che prevede l’accollo da parte dello Stato degli ammortizzatori sociali, confermando il principio che l’Inpgi 1 è l’unico ente sostitutivo dell’Inps in base alla legge Rubinacci n. 1564 del 20 dicembre 1951 e all’art. 38 della legge sull’editoria n. 416 del 1981 e, quindi, del tutto equiparato alla previdenza pubblica. Principio peraltro affermato da Governo e Parlamento negli ultimi dieci anni con interventi stabili per il pagamento degli assegni di quiescenza ai pre-pensionati e le rispettive misure inserite nelle recenti Finanziarie.
Riformare l’Inpgi significa riformare la professione puntando al giusto ristoro dello Stato, all’integrazione obbligatoria nel rispetto delle legge 150/2000 di tutti quei comunicatori pubblici e privati che fanno i giornalisti senza pagare l’Inpgi, a una necessaria “svecchiata” alla Legge istitutiva dell’Ordine dei giornalisti, che ormai ha 58 anni suonati, consentendo l’ampliamento a nuove categorie dell’informazione. E per predisporre un piano credibile e a lungo periodo con questi contenuti, serve un lavoro di tutti e una posizione unitaria e non parziale della categoria di fronte alle Istituzioni. (giornalistitalia.it)
Andrea Bulgarelli
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