ROMA – Sono tre le interrogazioni parlamentari sulla crisi dell’Inpgi tuttora pendenti alla Camera dei deputati e al Senato. La prima è della senatrice Fiammetta Modena (Forza Italia) ed è relativa a un atto di sindacato ispettivo. L’ha presentata il 17 dicembre scorso al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Andrea Orlando, ricordando che «l’Istituto nazionale per la previdenza dei giornalisti italiani, come ha scritto uno dei sindaci dell’Istituto, il giornalista Pierluigi Roesler Franz, si trova in lenta, graduale ed inesorabile agonia, anzi, è ormai sull’orlo del baratro».
Ciò – evidenzia Modena – «per l’esponenziale svuotamento dalle redazioni di giornalisti di quotidiani, periodici e agenzie di stampa per effetto di prepensionamenti, susseguitisi a catena soprattutto dal 2009 in poi con conseguente drastica riduzione dei lavoratori subordinati, assunti a tempo indeterminato, che da tempo sono stati via via sostituiti da giornalisti lavoratori autonomi con versamento di contributi all’Inpgi 2. Ente questo che registra, invece, un vero boom di iscritti e naviga a gonfie vele e con le casse piene», tant’è che il bilancio consuntivo 2020 si è chiuso con un utile di 26,1 milioni di euro.
Modena ricorda che «l’Inpgi 1, nato nel 1926 e privatizzato come Fondazione dal 1994, è un ente previdenziale incaricato di pubbliche funzioni, in base all’articolo 38 della Costituzione ed è oggi l’unico ente sostitutivo dell’Inps in Italia in base alla “legge Rubinacci” (legge n. 1564 del 1951), tuttora in vigore da 69 anni» e «proprio per questo si è addossato l’onere degli ammortizzatori sociali della categoria per ben mezzo miliardo di euro (disoccupazione, cassintegrazione, contratti di solidarietà, Tfr in caso di fallimento, prepensionamenti a catena da aziende in crisi, mancati recuperi da aziende fallite, contributi figurativi da corrispondere anche in base all’art. 31 dello Statuto dei lavoratori sulle pensioni dei numerosi giornalisti eletti deputati, senatori, parlamentari europei, sindaci di grandi città, consiglieri e governatori di Regioni e crediti irrecuperabili da aziende fallite), ma senza alcun ristoro da parte dell’Erario».
Di conseguenza l’Inpgi 1 ha dovuto intaccare il suo patrimonio addirittura per 1 miliardo e 200 milioni di euro (circa 2 mila 300 miliardi di vecchie lire), essendo stato costretto a disinvestire titoli, fondi ed immobili. E la sua riserva tecnica reale ed effettiva (rapporto tra le pensioni in corso di pagamento ed il suo patrimonio) è scesa a soli 2 anni contro i 5 previsti per legge».
«Per salvare l’Inpgi 1 dal commissariamento, garantendone la sua tenuta e sostenibilità, occorre riconoscere a questo benemerito ente – sottolinea la sen. Modena – il suo ruolo decisivo a presidio della democrazia e dell’informazione nel nostro Paese, ma è necessario ampliare al più presto la platea degli iscritti inserendovi tutti coloro che a qualsiasi titolo oggi svolgono attività giornalistica nel senso più ampio di questa parola come free lance o nelle redazioni di agenzie di stampa, quotidiani, periodici, come “comunicatori”, “bloggers”, informatici, uffici stampa pubblici e privati, finti Co.co.co., finte partite Iva, finte cessioni del diritto d’autore, autori di testi».
«È indilazionabile – ammonisce la parlamentare di Forza Italia – anticipare al massimo l’ingresso nell’Inpgi 1 di circa 9.000 “comunicatori” privati e di altri 5.500 “comunicatori” pubblici che oggi versano i contributi all’Inps. L’art. 16-quinquies della legge n. 58 del 2019 prevede, infatti, solo dal 1° gennaio 2023 l’ingresso nell’Inpgi 1 di questi circa 14.500 “comunicatori” pubblici e privati, che oggi versano all’Inps, per i quali è stato già accantonato ora per allora fino al 2031 nel bilancio dello Stato complessivamente circa un miliardo e mezzo di euro dei loro futuri contributi previdenziali, proprio per garantire la tenuta e la sostenibilità dell’ente dei giornalisti».
Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, dunque, la richiesta di «sapere quali interventi urgenti intenda intraprendere per risanare l’Ente ed evitare il disastro finanziario».
La seconda – pubblicata il 28 maggio scorso da Giornalisti Italia – è dell’on. Walter Rizzetto (Fratelli d’Italia) che chiede, sempre al ministro Andrea Orlando, cosa intende fare «per pervenire al risanamento dello stato dell’Inpgi e garantire agli iscritti le prestazioni pensionistiche e di welfare».
L’ultima è quella, a risposta orale, presentata l’8 giugno scorso dal senatore giornalista Elio Lannutti (Gruppo Misto) assieme ai colleghi Elena Botto (M5S) e Luisa Angrisani (Gruppo Misto).
Ai Ministri del lavoro e delle politiche sociali, Andrea Orlando, e dell’economia e delle finanze, Daniele Franco, i senatori ricordano che «l’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani si trova in lenta, graduale ed inesorabile agonia, anche a causa dello svuotamento dalle redazioni di giornalisti di quotidiani, periodici e agenzie di stampa, per effetto di prepensionamenti, susseguitisi a catena soprattutto dal 2009 in poi, con conseguente drastica riduzione dei lavoratori subordinati, assunti a tempo indeterminato, che da tempo sono stati sostituiti da giornalisti lavoratori autonomi con versamento di contributi nelle casse dell’Inpgi 2. Ente che registra, invece, un boom di iscritti e con casse piene».
«L’art. 16-quinquies della legge n. 58 del 2019 – evidenziano Lannutti, Botto e Angrisani – prevede dal 2023 l’ingresso nell’Inpgi 1 dei “comunicatori” pubblici e privati, per i quali è stato già accantonato, ora per allora e fino al 2031, nel bilancio dello Stato un miliardo e mezzo di euro dei loro futuri contributi previdenziali, proprio per garantire la tenuta dell’Ente dei giornalisti, tenendo conto del fatto che tali “comunicatori” sarebbero contrari al passaggio all’Inpgi e pertanto si direbbero pronti anche ad azioni legali».
I tre senatori sottolineano che «è dal 2011 che la gestione previdenziale e assistenziale dell’Inpgi 1 presenta un risultato negativo. All’inizio contenuto, meno 1,3 milioni di euro, poi è stata una sequenza crescente e inarrestabile di risultati negativi. In realtà, i segni di cedimento erano visibili già dal 2008, quando la gestione previdenziale aveva un saldo attivo di 97 milioni di euro, ma le proiezioni per gli anni successivi indicavano già un possibile tracollo. Nel 2013, l’Inpgi ha progressivamente trasferito la proprietà degli immobili al Fondo “Giovanni Amendola” e si è deciso di mettere in atto una rivalutazione del patrimonio immobiliare, un escamotage per usare le plusvalenze, fittizie, per coprire le perdite della gestione previdenziale. In parallelo è cominciata la vendita dello stesso patrimonio immobiliare, finalizzata a coprire un disavanzo diventato nel 2020 di 242,2 milioni di euro.
La perizia degli immobili è stata affidata alla società Protos Check srl. A quanto è dato sapere non si sarebbe però trattato di una perizia nuova, ma basata su dati forniti dalla stessa Inpgi. In sostanza, l’esperto “indipendente” avrebbe ritenuto congrue le stime fatte dall’Inpgi stesso. Protos Check è una società romana interamente posseduta da Protos spa, ed è stata creata proprio mentre l’Inpgi stava dando il via alla gara per scegliere la società per la costituzione e gestione del fondo immobiliare. Il bando per la scelta del gestore è stato infatti inviato dall’Inpgi alla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea il 29 maggio 2013, sette giorni dopo la delibera di costituzione di Protos Check. Ufficialmente Protos ha ricevuto l’incarico di “esperto indipendente” da InvestiRe SGR (all’epoca insieme a Polaris) dopo la conclusione della gara, ma da alcuni atti della gara per scegliere il gestore del fondo risulterebbe che Protos fosse già in contatto con l’Inpgi e avesse lavorato per fare le perizie sui valori degli immobili (“valori di mercato espressi da Inpgi e resi congrui da Protos”) da conferire al fondo».
«L’Inpgi – rilevano ancora i tre senatori – solo lo scorso anno ha perso 855 rapporti di lavoro attivi, che si aggiungono agli 865 del 2019. Inoltre, nel 2020 la differenza tra entrate contributive e uscite per le pensioni è stato di meno 188,4 milioni, in quanto sono 14.700 i giornalisti attivi, a fronte di quasi 10.000 pensioni pagate.
Di conseguenza l’Inpgi 1 ha dovuto intaccare il patrimonio per 1,2 miliardi di euro, disinvestendo negli anni titoli, fondi e immobili. La sua riserva tecnica reale ed effettiva (rapporto tra le pensioni in corso e patrimonio) è scesa a 2 anni, contro i 5 previsti per legge; inoltre l’Inpgi 1, nato nel 1926 e privatizzato come fondazione dal 1994, è un ente previdenziale incaricato di pubbliche funzioni, in base all’articolo 38 della Costituzione ed è oggi l’unico ente sostitutivo dell’Inps in Italia in base alla “legge Rubinacci” (legge n. 1564 del 1951), tuttora in vigore dopo 70 anni. Proprio per tale natura, l’Inpgi 1 si è addossato l’onere degli ammortizzatori sociali della categoria, per un valore che si aggira intorno a mezzo miliardo di euro (disoccupazione, cassa integrazione, contratti di solidarietà, Tfr in caso di fallimento, prepensionamenti, mancati recuperi da aziende fallite, contributi figurativi da corrispondere anche in base all’art. 31 dello Statuto dei lavoratori sulle pensioni dei numerosi giornalisti eletti deputati, senatori, parlamentari europei, sindaci di grandi città, consiglieri e governatori di Regioni e crediti irrecuperabili da aziende fallite)».
«Nonostante la crisi, Inpgi – ricordano Lannutti, Botto e Angrisani – continua a sostenere anche per il 2021 l’erogazione di 2,47 milioni di euro per “servizi resi” alla Federazione nazionale della stampa italiana (FNSI) e alle associazioni regionali di stampa, ovvero al sindacato dei giornalisti, considerando che in larga parte si tratterebbe di un onere improprio, perché i “servizi resi” sarebbero un finanziamento a organismi sindacali, sostenuti da tutti i giornalisti iscritti all’Inpgi, mentre gli iscritti al sindacato sono solo una minoranza».
«Il dissesto – è scritto ancora nell’interrogazione parlamentare – non ha scalfito neppure lo stipendio del direttore generale Inpgi, che ha un contratto di 232.000 euro l’anno, peraltro aumentati di 18.000 euro quando ha preso l’interim dell’Ufficio immobiliare, dopo il pensionamento del precedente titolare. In generale, le spese di struttura Inpgi previste nel 2021 ammontano a 24,4 milioni di euro. Una somma composta da 17,3 milioni di costo del personale, considerando i quasi 200 dipendenti; 1,2 milioni di euro per compensi e rimborsi spese per gli organi collegiali e collegio sindacale, compreso il compenso del presidente, pari a 234.576 euro lordi (dato del 2019); 2,28 milioni di euro per acquisto di beni e servizi (tra cui 574.000 per bollette e spese di funzionamento sedi e 500.000 per manutenzione e assistenza attrezzature informatiche); 810.000 per spese legali».
I senatori Elio Lannutti, Elena Botto e Luisa Angrisani chiedono, quindi, ai ministri Orlando e Franco di sapere «quali interventi urgenti il Governo intenda intraprendere per evitare il crac finanziario dell’Inpgi 1, la cui riserva tecnica effettiva, ossia il rapporto tra le pensioni pagate ed il suo patrimonio, sarebbe pari alle due annualità, rispetto alle cinque minimali previste dal decreto-legge n. 509 del 1994; quante siano le unità immobiliari ad uso residenziale o commerciale del Fondo Amendola gestite da SGR InvestiRe da anni invendute o sfitte, quali le relative perdite sui bilanci in rosso dell’Inpgi 1 che solo nel 2020 ha accusato una perdita di 242,2 milioni di euro e se il Governo ritenga compatibili gli elevati emolumenti corrisposti al top management con i risultati negativi di gestione; se ritenga necessario fare chiarezza sul rapporto tra Inpgi e Protos, in quanto tale società avrebbe ricevuto ufficialmente l’incarico di “esperto indipendente” da InvestiRe SGR».
I tre senatori chiedono, infine, ai ministri Orlando e Franco «se sia stato lo stesso professor Micocci, inserito dalla Fieg (Federazione Editori) alla presidenza del Fondo Pensioni Giornalisti, a predisporre il bilancio attuariale dell’istituto; se sia lo Stato o l’Inpgi a pagare la differenza sulla spesa degli ammortizzatori sociali; se il Governo ritenga necessario adoperarsi per facilitare l’ampliamento della platea degli iscritti Inpgi, inserendovi coloro che a qualsiasi titolo oggi svolgono attività giornalistica, per anticipare l’ingresso nell’Inpgi 1 di circa 9.000 “comunicatori” privati e di altri 5.500 “comunicatori” pubblici, che oggi versano i contributi all’Inps; se alla luce dei bilanci disastrosi, il Governo ritenga inevitabile e doveroso, come imposto dal decreto-legge n. 509 del 1994, il commissariamento dell’Inpgi 1 e il relativo passaggio alla gestione pubblica, sotto l’egida dell’Inps». (giornalistitalia.it)
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