74 anni appena compiuti, era in vacanza in Liguria dopo 30 anni a La Stampa

Infarto fatale per il giornalista Beppe Sangiorgio

Giuseppe Sangiorgio

TORINO – I cronisti della Stampa lo chiamavano “Sangiu” e così lo hanno ricordato nei necrologi che gli hanno dedicato. Giuseppe Sangiorgio – Beppe per amici e colleghi – che, per trent’anni, aveva seguito le vicende del consiglio comunale di Torino, è stato stroncato da un infarto mentre, con la moglie Luciana e due nipoti, stava trascorrendo qualche giorno di vacanza ad Andora, in Liguria. In primavera, aveva avuto qualche problema di salute tanto da doversi sottoporre a un piccolo intervento ma sembrava che le disfunzioni cardiache che si erano manifestate si fossero risolte per il meglio.
Aveva appena compiuto i 76 anni e, dal 2004, era in pensione. Alle spalle, un’infinità di resoconti dal Municipio attraverso i quali aveva descritto una politica cittadina che, con gli anni, andava modificandosi e trasformandosi. Prima l’epoca “rossa” del sindaco Diego Novelli, poi il pentapartito e dopo ancora i sindaci Castellani e Chiamparino, attuale presidente della Regione Piemonte.
Il suo approccio nel mondo del giornalismo era avvenuto alla Gazzetta del Popolo che veniva editata nel celebre palazzo di via Valdocco. Per quasi un anno, quando era ancora praticante, era stato trasferito a Novara dove si producevano due pagine provinciali e aveva lavorato con Mario Giordano (allora responsabile dell’edizione), Mario Giarda (destinato poi al Corriere della Sera) e Renato Ambiel (futuro caposervizio a La Stampa).
Il passaggio alla concorrenza era avvenuto per iniziativa di Ferruccio Borio, mitico capocronista che aveva visto in quel ragazzo il fiuto e la costanza del giornalista. Perché, nel mestiere di cronista, occorreva (e occorre) l’intuizione per la notizia ma non poteva mancare (e non può mancare) l’impegno quotidiano per aggiornare le fonti d’informazione, coltivarle e seguirle nel loro sviluppo. In questo Sangiorgio non aveva concorrenza. Conosceva tutti e per ognuno aveva in serbo una battuta, un riferimento, una citazione.
Beppe Sangiorgio, in gioventù, aveva militato nelle fila della Democrazia Cristiana. Questo suo impegno politico non lo ha mai rinnegato anche se lo ha confinato sullo sfondo della sua attività professionale. Pur trattandosi di un amore indimenticabile, la militanza in un partito non gli faceva velo e riusciva ad essere lucido nei giudizi e nelle valutazioni. Anche all’interno della stessa categoria dei giornalisti.
Negli anni Settanta e Ottanta la Federazione della Stampa subalpina e nazionale era governata da una corrente sindacale chiamata “Rinnovamento”. Sangiorgio ha fatto parte di un movimento che contestava quel raggruppamento perché troppo legato ai partiti, fino a diventarne la cinghia di trasmissione. Era stato fra i promotori di un’altra corrente “Partecipazione” che immaginava un’azione sindacale a favore dei giornalisti indipendentemente dalla loro collocazione ideologica o dall’appartenenza a questa o quella testata. Per questo, la professione perde una voce autorevole. (giornalistitalia.it)

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