BRUXELLES (Belgio) – Dopo tre anni di discussioni, lobby e colpi di scena, la controversa riforma europea del copyright online è ormai realtà, nonostante l’opposizione dell’Italia e altri 5 Paesi. Con l’ultimo ok da parte della maggioranza dei 28, la direttiva Ue sul diritto d’autore è arrivata in porto e, dopo la sua pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, gli stati membri avranno due anni per adeguarsi.
La conclusione del tormentato processo di adozione a livello Ue è stata accolta con favore da artisti ed editori, dove Enpa e Confindustria Radio Tv invitano ora i Paesi, in particolare l’Italia, a metterla in atto senza perdere tempo. Resta critico, però, il sottosegretario all’editoria Vito Crimi, avvertendo che “a pagare” il costo della riforma sarà “l’editoria locale”.
Dopo il difficile passaggio al Parlamento europeo, che lo scorso 26 marzo ha dato il suo “sì” in bilico sino all’ultimo, ora è stata la volta del Consiglio Ue. I 28, spaccati da mesi, hanno però confermato la risicata maggioranza qualificata a
favore del provvedimento, nonostante il voto contrario non solo dell’Italia, ma anche di Svezia, Finlandia, Polonia, Olanda e Lussemburgo più l’astensione di Slovenia, Estonia e Belgio.
La Germania, sotto il fuoco di proteste in patria e spaccature politiche interne, ha confermato il suo sostegno, ma ha voluto aggiungere agli atti una dichiarazione – senza però valore giuridico rispetto al testo della direttiva – in cui ha invitato la Commissione, responsabile dell’attuazione, ad evitare filtri all’upload e censura.
Passa, infatti, ora nelle mani degli Stati membri il compito di applicare la riforma, adattandola alla legislazione nazionale. Il timore è che i margini di manovra possano essere utilizzati per mettere in pratica a livello nazionale norme difformi da quelle sancite a livello europeo.
“Facciamo appello agli stati membri perché la attuino rapidamente, non c’è tempo da perdere”, ha detto il presidente dell’Enpa, Carlo Perrone, “abbiamo bisogno urgente che il diritto degli editori migliori la posizione negoziale degli editori di stampa nel mondo digitale”.
A fargli eco il presidente Aie, Ricardo Franco Levi: l’impegno d’ora in poi sarà “spiegare le nostre ragioni al governo perché possa muoversi su posizioni che garantiscano i produttori di cultura e di contenuti”. E il presidente di Confindustria Radio Tv, Franco Siddi: “Plauso all’Ue. Il voto è un segno di identità chiaro, in linea con il processo di attualizzazione della civiltà giuridica europea, che si basa sui principi fondamentali di remunerazione dei diritti morali ed economici di chi lavora e di chi produce”.
“Spiace – sottolinea Siddi – che il Governo italiano si sia distinto votando no. L’auspicio è che in sede di recepimento agisca in conformità con i principi della stessa, perché questa è un’occasione positiva anche per i propositi di rinnovamento delle linee di spesa pubblica: recuperare risorse, impropriamente saccheggiate a editori, giornalisti, autori, scrittori, creativi, significa poter remunerare i loro prodotti, rilanciare investimenti ambiti dell’industria culturale e assicurare entrate incrementali all’erario”.
Siddi evidenzia, infine, “una seconda votazione importante del Consiglio Ue, quella relativa al copyright sulle trasmissioni online dei broadcaster (meglio nota come direttiva cavo-satellite): questa direttiva ha raccolto maggior consenso al suo interno con una maggioranza ampissima (27 sì e la sola astensione della Slovenia). Anche questa è una norma di grande rilievo per il comparto radiotelevisivo, l’Italia ora non perda il passo”. Per il voto contrario dell’Italia sul copyright rammarico anche da parte di Confindustria Cultura.
Il sottosegretario Crimi, però, ribadisce il suo disaccordo: “Quello che doveva essere chiesto agli over the top era l’obbligatorietà di condividere con autori ed editori i dati” in modo da “poter competere per la raccolta pubblicitaria”, invece “si stanno accontentando delle briciole, che permetteranno di sopravvivere solo alla grande editoria”.
La riforma del diritto d’autore nell’era digitale prevede infatti la possibilità (non l’obbligo) per gli editori di negoziare accordi con le piattaforme come Google o Facebook per farsi pagare l’utilizzo dei contenuti. Gli introiti dovranno essere condivisi con i giornalisti. I link restano liberi e gratuiti. Gli utenti non rischiano più sanzioni per aver caricato online materiale protetto da copyright non autorizzato, ma la responsabilità sarà delle grandi piattaforme (con minori obblighi per le piccole e le start up), senza però nessuna obbligatorietà di filtri ex ante.
Sono, inoltre, “salvi” anche Wikipedia, meme, gif, parodie, citazioni, critiche, pastiche, recensioni, cloud e software in open source. “Abbiamo un testo bilanciato che fissa un precedente da seguire per il resto del mondo” per “un internet equo”, hanno riassunto i musicisti indipendenti di Impala. (ansa)