ROMA – Il 17 aprile prossimo sarà il gip ad esaminare la richiesta di archiviazione avanzata l’estate scorsa dalla Procura di Roma in merito all’omicidio della giornalista del Tg3 Ilaria Alpi e dell’operatore Miran Hrovatin, assassinati il 20 marzo 1994 in un agguato a Mogadiscio, in Somalia.
In 80 pagine di provvedimento il capo dell’ufficio, Giuseppe Pignatone, e il pm Elisabetta Ceniccola (da qualche mese passata in Cassazione) hanno spiegato che non è stato possibile risalire a mandanti ed esecutori materiali del duplice delitto e che non c’è stata neppure alcuna prova di presunti depistaggi legati soprattutto alla gestione in Italia di Ahmed Ali Rage, detto Gelle, il testimone chiave che prima chiamò in causa il miliziano somalo Omar Hashi Hassan (definitivamente condannato a 26 anni di reclusione e poi assolto nel processo di revisione a Perugia) e successivamente ritrattò tutto.
Nel motivare la richiesta di archiviazione, i magistrati di piazzale Clodio hanno sottolineato l’esito negativo degli accertamenti e “l’impossibilità di raggiungere qualche risultato”, anche alla luce della complessa situazione politica “(di allora e di oggi)” dello Stato africano, della “divisione in clan tra loro ostili, dell’inesistenza di forze di polizia che potessero dare affidamento, e dell’assenza, ancora oggi, di relazioni diplomatiche”.
Per la Procura, comunque, “l’ipotesi più attendibile sul piano logico del delitto” era che la giornalista del Tg3 fosse stata uccisa per essersi occupata “di qualcuno dei traffici illeciti fiorenti in quell’epoca nella Somalia dilaniata dalla guerra e divisa tra clan ferocemente nemici”. Oppure che “fosse venuta a conoscenza di qualcosa di importante e compromettente, anche per soggetti o istituzioni italiane.
«Ma si tratta – hanno chiarito i pm – di un’ipotesi, dato che la perizia balistica, unico dato oggettivo che avrebbe potuto convalidarla, ha escluso che la Alpi sia stata uccisa da un colpo di pistola sparato da vicino (e che quindi si sia trattato di un’esecuzione decisa a tavolino, ndr)».
Quanto alle “anomalie delle indagini” segnalate dalla corte d’appello di Perugia nella sentenza che ha assolto Hassan (che ha scontato in cella da innocente quasi 17 anni sui 26 inflitti), la Procura stessa ha escluso “che vi sia stata una dolosa manipolazione delle prove o testimonianze pilotate”. E “condotte dolose” non sono ravvisabili neppure nell’operato degli organi di polizia che si sono occupati delle indagini. (agi)
Per la procura di Roma è “impossibile risolverlo dopo 24 anni, nessuna anomalia”