NOVARA – “Chi? Che cosa? Dove? Perché?” Le domande-chiave del giornalismo anglosassone sono diventate il filo conduttore di un incontro al Circolo dei lettori di Novara, dedicato a “Quattro brindisi nella letteratura alcolica”. Tema originale cui non fa difetto un pizzico di ironia e quell’autocritica che rende accettabile anche la tesi più estremista.
Mattatori della serata Marco Scardigli ed Elena Ferrari che hanno attraversato tremila anni di storia alla ricerca di suggestioni d’autore.
Intanto i liquori e il giornalismo hanno rappresentato – almeno per il passato – un binomio inossidabile. Gli inviati scrivevano sulla Olivetti 22, intervallando parola scritte e sorsate di un whisky che tenevano nel cassetto della scrivania. E, al momento di finire l’articolo, era finita anche la bottiglia.
Hemingway – parole sue – tracannava il primo sorso appena sveglio e confessa: “Mi alzavo alle quattro di mattina…!”. Scrittori e giornalisti hanno incominciato a occuparsi di vino fin dall’inizio. Omero ha descritto il ciclope Polifemo, ubriaco,vittima dell’astuzia di Ulisse.
Il “che cosa” deve rispettare alcune regole di morigeratezza. Quando Noè, dopo il diluvio universale, ha piantato il primo vitigno, ha celebrato l’avvenimento con il sacrificio di un agnello, un leone e un maiale. Dopo la prima bevuta, ognuno si sente beato come un agnello, alla seconda forte come il leone ma, al terzo boccale, fradicio come un porco.
Pascoli, nelle “Myricae”, confermando le regola del numero tre, ha avvertito che i primi sorsi di vino sono per il piacere, poi per l’oblio e, infine, per il sonno. Non tutti sono d’accordo.
Dagli Usa hanno notato che il giorno diviso in 24 ore e che i cartoni di birra contengono 24 lattine. Si domandano: “una coincidenza?”
Certo, però, che esagerare può diventare pericoloso. Si dice che Van Gogh si sia tagliato l’orecchio dopo aver brindato con “assenzio” che era un liquore potente di 65 gradi alcolici, adatto per stomaci robusti e per bocche sofisticate.
La formula era stata inventata negli anni della rivoluzione francese e poi messo fuori legge con la scusa di essere velenoso. In realtà si è trattato della prima guerra commerciale. A guidare la crociata contro l’assenzio erano stati i produttori di Cognac che subivano la concorrenza dei nuovi prodotti.
La letteratura mondiale abbonda di citazioni e indugia sul rapporto fra scrittura e vino (o liquore). Ma “con chi” bere? Renzo Tramaglino, ne “I promessi sposi”, di passaggio a Milano, durante la rivolta del pane, si ferma in un’osteria e accetta la compagnia di uno sconosciuto. Lo credeva un amico ed era una spia che, alla prima occasione l’ha denunciato ai gendarmi facendogli passare dei guai. Perciò occorre scegliere la giusta compagnia. Non deve essere una persona troppo interessata.
La maga Circe – ancora nell’Odissea – ha offerto una bevanda drogata ai compagni di Ulisse e li ha trasformati in porci perché voleva togliere di mezzo gli ostacoli fra lei e Ulisse.
Il “Pranzo di Babette” ha sconsigliato di brindare con gli “incompetenti”. Una bottiglia “di quello buono” deve essere compresa, centellinata, apprezzata e commentata con diligenza.
Cisti, il fornaio del “Decamerone” ha preferito il goloso che si avvicina al biccheire con desiderio autentico. Ma la parola definitiva è – forse… – arrivata da Baudelaire, che ha tessuto l’elogio del solitario. “Bere? In compagnia di se stessi…!” (giornalistitalia.it)
Riccardo Del Boca