ROMA – Il 2 novembre ricorre la Giornata mondiale per mettere fine all’impunità per i crimini contro i giornalisti, indetta dall’Onu nel 2013 in memoria di Ghislaine Dupont, 51 anni, e Claude Verlon, 58 anni, due colleghi francesi uccisi nel Mali. Quattro anni prima, più di trenta giornalisti erano stati uccisi nel massacro di Maguindanao, nelle Filippine, in quello che è stato l’attacco mortale contro i giornalisti più grave della storia.
Il Rapporto dell’Unesco pubblicato in occasione della quinta edizione della Giornata evidenzia che sono aumentati del 18 per cento i giornalisti uccisi nel mondo nel quinquennio 2014-2018 rispetto ai cinque anni precedenti e il 55% degli omicidi ha avuto luogo in Paesi in pace. Quasi il 90% dei responsabili delle uccisioni dei 1.109 giornalisti assassinati nel mondo tra il 2006 e il 2018 non è stato punito.
L’indagine segnala che i Paesi con il più alto tasso di vittime tra i giornalisti sono gli Stati Arabi, seguiti da America Latina, Caraibi e Asia, e che a essere presi di mira sono sempre più spesso i giornalisti che si occupano di fatti politici, criminalità e corruzione.
Nel rapporto l’Unesco, registra tuttavia un calo del numero di omicidi nei primi 10 mesi del 2019 rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, con 44 omicidi di giornalisti segnalati al 30 ottobre 2019, rispetto ai 90 della stessa data del 2018.
«Quando i giornalisti sono presi di mira, la società nel suo complesso paga il prezzo», osserva il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ricordando che «se non riusciamo a proteggerli, sarà estremamente difficile per noi rimanere informati e contribuire al processo decisionale. Se i giornalisti non riescono a fare il loro lavoro in sicurezza, il mondo di domani sarà segnato da confusione e disinformazione».
«Resta comunque preoccupante – sottolinea Guterres – che crescono gli attacchi contro le donne giornalista: le più esposte alla violenza di genere, alle espressioni di odio a sfondo sessuale alle minacce e aggressioni sessuali».
Il segretario generale dell’Onu aggiunge che «quando i giornalisti sono presi di mira, la società nel suo complesso paga il prezzo. Se non riusciamo a proteggerli, sarà estremamente difficile per noi rimanere informati e contribuire al processo decisionale. Se i giornalisti non riescono a fare il loro lavoro in sicurezza, il mondo di domani sarà segnato da confusione e disinformazione. Senza libertà d’espressione e media liberi sarà impossibile far progredire la democrazia e raggiungere gli obiettivi di sviluppo durevole che ci siamo preposti».
«L’Unesco – ricorda, dal canto suo, il direttore generale dell’Onu, Audrey Azoulay – vuole rendere conto di tutti coloro che mettono in pericolo i giornalisti, coloro che uccidono i giornalisti e tutti coloro che non fanno nulla per fermare questa violenza. La morte di un giornalista non dovrebbe mai significare la fine della ricerca della verità».
«Nel corso degli ultimi dieci anni – evidenzia Azoulay – sono stati 881 i giornalisti assassinati solo per aver detto la verità. E dall’inizio del 2019 già 44 hanno perso la vita. Per questo in occasione della Giornata mondiale contro i crimini in danno dei giornalisti l’Onu ha rivolto un appello ai Paesi membri perché «difendano i rappresentanti della stampa, la verità e la giustizia».
Dunque, fino a qualche tempo fa i giornalisti morivano nei teatri di guerra, nei Paesi in conflitto, ora vengono uccisi se denunciano fatti politici, criminalità e corruzione.
Anche il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, partecipa alla celebrazione di questa Giornata mondiale per mettere fine all’impunità per i crimini contro i giornalisti: «Non c’è democrazia senza la libertà di stampa. Nel giorno internazionale per porre fine all’impunità dei crimini contro i giornalisti, rendiamo omaggio a Daphne Caruana Galizia, Jan Kuciak e a tutti quelli in tutto il mondo che hanno perso la vita e hanno subito attacchi per aver svolto il loro lavoro».
Daphne Caruana Galizia, giornalista maltese, impegnata in numerose inchieste e attiva contro la corruzione, è stata assassinata in un attentato dinamitardo nel 2017, mentre Ján Kuciak, giornalista slovacco, impegnato in indagini sulla gestione di fondi strutturali dell’Unione Europea nel suo paese è stato trovato ucciso nella sua abitazione nel febbraio 2018.
Negli ultimi anni i giornalisti e i professionisti dei media hanno visto aumentare e peggiorare gli attacchi alla loro sicurezza fisica. Il loro lavoro è sempre più ostacolato da minacce di perseguimento penale, arresti, detenzione, negazione dell’accesso alle informazioni, mancanza di indagini e procedimenti penali per reati nei loro confronti.