La Stampa celebra il suo più grande direttore. Il segreto? Cura maniacale dei dettagli

Il “quotidiano popolare” di Giulio De Benedetti

Giulio De Benedetti

Giulio De Benedetti

TORINO – La Stampa commemora il suo direttore Giulio De Benedetti, in occasione dei quarant’anni dalla sua morte, avvenuta nella notte tra il 14 e 15 gennaio 1978. Il ricordo è affidato alla firma di Alberto Sinigaglia, presidente dell’Ordine dei giornalisti del Piemonte e, a suo tempo, responsabile delle pagine culturali del quotidiano.
“De Benedetti – a giudizio di Sinigaglia – ha avuto il pregio e il merito di rilanciare il quotidiano di Torino, nel dopoguerra”. Con lui al vertice “La Stampa si è imposta come pubblicazione di qualità, ma insieme popolare, di vocazione europea ma radicata nel territorio”.
Era chiamato con il nomignolo “gidibi” che indicava la sigla con la quale firmava i suoi commenti in prima pagina. Ma la sua caratteristica era il ciuffettino ribelle che gli cadeva sugli occhi. Chi l’ha conosciuto se lo ricorda con il maglione girocollo. Per rilassarsi e pensare al giornale dell’indomani passeggiava nei boschi di Rosta, appena fuori Torino.
Giulio De Benedetti aveva i piedi nell’Ottocento essendo nato ad Asti nel 1890. Alla Stampa è entrato ventenne nel 1910 per essere nominato quasi subito corrispondente dalla Svizzera. Il primo scoop nel 1914 descrivendo la mobilitazione dell’esercito tedesco verso la Francia.
Nel 1919 ha lasciato La Stampa per la concorrente Gazzetta del popolo. Ha intervistato Adolf Hitler dopo il fallimento del “Putsch di Monaco”. Di religione ebraica, dopo l’approvazione delle leggi razziali fasciste, nel 1938, avrebbe dovuto essere licenziato. Invece, anche per l’intervento del senatore Agnelli, è rimasto al suo posto. Anche se con l’otto settembre 1943, ha dovuto riparare in Svizzera per evitare i rigori della repubblica di Salò.
Dopo la liberazione è stato nominato vice-direttore del quotidiano liberale L’Opinione per tornare alla Stampa come capo redattore (prima) e direttore (poi) prendendo il posto di Filippo Burzio.
Alla giuda del quotidiano è rimasto fino al 1968. In vent’anni, è riuscito ad attuare il progetto di “quotidiano popolare”. Nella gerarchia delle notizie ha messo al primo posto la cronaca rispetto alla politica. Ha portato la tiratura a 500 mila copie nei giorni feriali e 600 mila nei festivi. Il segreto del successo è consistito nella cura maniacale dei dettagli: la carta migliore, la stampa più nitida, ogni titolo sorvegliato e tutti gli aggettivi calcolati.
Famosa la sua rubrica “Specchio dei tempi” che nei suoi vent’anni ha ricevuto quasi un milione di lettere. Un vero e proprio record.
A distanza di quarant’anni, il suo lavoro appare come un’autentica innovazione. (giornalistitalia.it)

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