VICENZA – L’intervista al Papa di domenica sera nel corso della trasmissione “Che tempo che fa” condotta da Fabio Fazio su Rai3 è stata un avvenimento mediatico, comunque la si pensi su Francesco, fede e dintorni. Non era mai accaduto prima che un Pontefice comparisse in diretta per parlare della sua gioventù, dell’amicizia, della guerra, dei lager in Libia, dei migranti, della crisi climatica e di molto altro.
Solitamente sono discorsi che si prendono a pezzettini, durante l’Angelus domenicale, oppure in altre occasioni pubbliche con prelati di ogni ordine e grado nel corso della presentazione di un’enciclica. Invece, domenica sera, Francesco era seduto su una poltrona, tappeto ai piedi, quadro alle spalle e una finestra con le tende tirate e una scrivania con tre sedie. Una scenografia che la dice lunga su dove vive. E, soprattutto, come vive.
In televisione è parso subito a suo agio, un po’ meno Fabio Fazio che, dalla sua voce un po’ incrinata, si intuiva un’emozione difficile da nascondere. Ma fin qui tutto bene, criticare il giorno dopo è fin troppo facile. Sta di fatto che su Instagram e Twitter non c’erano che commenti al riguardo, la maggior parte benevoli, e poi gli ascolti, lo share, i milioni di telespettatori davanti al video.
Insomma, il Papa fa notizia e questo lo sappiamo molto bene, ma quale altro pontefice avrebbe accettato un’intervista del genere? Pensandoci forse Papa Luciani, ma non è vissuto così a lungo per capirlo. Comunque la comunicazione cambia, gli scenari si fanno differenti, le newsroom mutano e questo Fazio l’ha capito e ha tentato il colpaccio che gli è riuscito alla perfezione.
Però, c’era una nota stonata: gli applausi dallo studio. Non si è capito se telecomandati come accade nella maggior parte dei format televisivi, o spontanei. Perché un Papa non si applaude, lo si ascolta e si medita sulle parole che dice. Per rispetto. Per deferenza. E l’altra sera ha affrontato temi che meritavano solo silenzio oppure un’altra domanda alla quale rispondere.
Aldo Grasso sul tema degli applausi ha citato qualche giorno fa sul Corriere della Sera quelli al capo dello Stato, Sergio Mattarella, tutti meritati «ma ormai si applaude dappertutto, in ogni situazione, tanto da far nascere il dubbio che stia cambiando il concetto stesso di applausi, come se i talk show ci avessero inculcato un format comportamentale». Invece, il silenzio, l’attenzione contano più di un battimano perché non si possono trasformare le tragedie in commedie. E di tragedie ha parlato Francesco. Non dimentichiamocelo anche «se il senso dell’umorismo è una medicina che fa relativizzare le cose e ci rende gioiosi». Anche senza applaudire. (il giornale di vicenza)
Chiara Roverotto