ROMA – Mentre nel clima di tragica follia che avvolge il pianeta stavamo per salutare il 2020, ci raggiunge il colpo micidiale del taglio al Fondo dell’editoria. Un colpo sparato con un’arma di precisione perché rivolto soprattutto contro questo giornale.
Un delitto perfetto perché commesso alla luce del sole e perché mandante e esecutore sono una cosa sola, rispondono alla stessa organizzazione: il Movimento 5Stelle.
La decisione di colpirci è arrivata nella fase finale della discussione della Legge di Bilancio, oggi in dirittura d’arrivo alla Camera dove verrà approvata in malomodo con il solito maxi-emendamento e il voto di fiducia.
Sabato, nelle ore in cui si litigava sugli emendamenti da infilare nel calderone che chiude il mercato delle contrattazioni, dove ha la meglio il piazzista più sponsorizzato, s’è visto di tutto.
Sono stati elargiti soldi pubblici alla qualunque, persino alle celebrazioni dell’ottavo centenario del presepe, all’aumento di stipendio dei prefetti, alla sostituzione dei soffioni delle docce, o all’ultima trovata dello «smartphone di governo» con abbonamento incorporato a due quotidiani.
E siccome il manifesto non ha sponsor politici l’emendamento che avrebbe sospeso i tagli (e che a differenza dei due citati non avrebbe comportato costi notevoli) è stato bocciato.
L’ultima volta che tentarono di toglierci di mezzo fu con il governo giallo-verde. E anche allora a volerci fuori dalle edicole erano sempre gli stessi, non la Lega fascistoide ma i democratici 5Stelle. Se non riuscivamo a stare sul mercato con le nostre gambe dovevamo rassegnarci a chiudere.
Una vera mascalzonata visto che il mercato non esiste perché a governarlo sono le concentrazioni finanziarie a capo delle maggiori testate nazionali. Oltre al fatto che considerare l’informazione e i giornali come una marca di detersivo è solo il segno di una straordinaria ignoranza se non di una perfetta malafede.
Non ci siamo arresi, abbiamo promosso una importante campagna per abbattere il muro (iorompo.it) ricevendo una immediata, larga e forte condivisione della nostra straordinaria community. Poi è cambiato il governo, oggi Salvini non c’è più, ma il risultato invece non cambia.
Secondo Crimi e associati anziché celebrare il nostro 50° compleanno (1971-2021), dovremmo officiare il nostro funerale e così espiare la colpa di avere un giornale nella forma di una cooperativa che con il suo lavoro, rispettando tutte le regole, stampa un quotidiano nazionale di sinistra ormai da 50 anni.
Dovremmo essere puniti per aver lavorato sodo e bene, per non aver chiuso come è successo a tanti giornali della sinistra che nel corso degli anni e dei decenni hanno fallito nonostante avessero le spalle ben protette da soldi, potere, partiti.
Ma a pensarci bene il problema è proprio questa indipendenza, questa unicità della nostra esperienza politico-editoriale, questa forma di militanza giornalistica, inventata dal gruppo fondatore del manifesto e proseguita di generazione in generazione, a dare fastidio. Che poi è la stessa ragione per cui siamo puntualmente oscurati anche dal servizio pubblico televisivo (di quello privato inutile parlare) dove testate con una storia e un lettorato assai meno significativo del nostro sono presenti a ogni ora del giorno e della notte.
Naturalmente se fosse passato l’emendamento che rinviava i tagli al Fondo ci saremmo ritrovati il problema solo spostato più in là, visto che gli alleati dei 5Stelle non trovano la forza di ribaltare la «dottrina Crimi», ma già sarebbe stato un «ristoro», considerato che la pandemia colpisce anche il nostro settore, sotto scacco da ogni punto di vista (pensionistico, retributivo, industriale) perché nulla è stato fatto nel frattempo da questo governo.
Anzi alla fine ad essere tagliati saranno solo i contributi diretti, mentre quelli indiretti, che vanno anche alle grandi testate, restano. Un delitto perfetto.
Sicuramente l’ideologia da quattro soldi dei pentastellati sull’equivalenza tra informazione e mercato si conferma il nostro più accanito avversario, ma dobbiamo dire con altrettanta franchezza, che né il Pd, né LeU, malgrado occupino posizioni rilevanti nei luoghi-chiave dove queste decisioni vengono prese, hanno ritenuto di dover difendere la nostra testata e dunque il pluralismo dell’informazione, né di dover mettere in campo una politica di settore.
Del resto, all’ignoranza massmediatica la sinistra ci ha abituato da sempre, diciamo sin dai tempi del berlusconismo, e oggi purtroppo persevera, restando in silenzio di fronte alle accresciute concentrazioni editoriali, incapace di elaborare un pensiero sulle grandi piattaforme padrone del mondo, sull’alfabeto del nuovo capitalismo, e dunque condannando a morte un moderno riformismo.
Figuriamoci, con queste credenziali, che fine farebbe una forza politica di sinistra che domani si presentasse al giudizio degli elettori. (il manifesto)
Norma Rangeri
direttore de “il manifesto”
Sono basito. Non c’è più un giornale di sinistra.