Come una soluzione temporanea rischia di trasformarsi in una pericolosa prospettiva

Il lavoro agile nelle redazioni e i controlli a distanza

L’avv. Giuseppe Catelli a Reggio Calabria per la Giornata mondiale della libertà di stampa

ROMA – Durante il periodo di confinamento imposto dall’emergenza epidemiologica da Covid-19 lo smart working ha rappresentato, nel settore dell’editoria, la soluzione privilegiata per assicurare la libertà di stampa, l’informazione e il diritto dei cittadini italiani ad essere informati, a tal punto che non manca chi, tra gli editori, riterrebbe lo smart working non solo una soluzione temporanea al problema, ma una prospettiva di lavoro per il futuro.
L’applicazione generalizzata dello smart working nelle redazioni dei giornali è stata possibile grazie alla facilità di accesso alle risorse telematiche per il tramite di internet ed alla diffusione delle moderne dotazioni tecnologiche, il cui incremento, in termini qualitativi e quantitativi, ha favorito l’etero-direzione, la collaborazione, la scrittura e il lavoro di desk a distanza.
Sotto l’aspetto normativo, il ricorso al lavoro agile per tutta la durata dello stato di emergenza è stato promosso dal Governo italiano, sin dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 1 marzo 2020, in deroga alla normativa ordinaria di cui alla legge n. 81 del 2017 che ne richiede un previo accordo scritto tra dipendente e datore di lavoro in ordine ai tempi, ai luoghi e alle modalità di svolgimento all’esterno dei locali aziendali, anche con riguardo al potere direttivo del datore di lavoro ed agli strumenti utilizzati dal lavoratore.
Non solo, nel medesimo accordo le parti sono tenute a disciplinare l’esercizio del potere di controllo del datore di lavoro sulla prestazione resa dal dipendente.
La modalità di lavoro agile, infatti, rompendo lo schema tradizionale di prestazione lavorativa fondata sul binomio orario – sede di lavoro, comporta inevitabilmente nuove forme di osservazione e valutazione della prestazione lavorativa legate non più al posto di lavoro, ma a modalità e tipologie di controllo diverse, riconducibili nella maggior parte dei casi alla categoria dei cosiddetti “controlli a distanza”.
Grazie alla tecnologia si è oggi in grado di visionare i flussi delle informazioni collegati ai servizi di comunicazione nella disponibilità del dipendente, come la posta elettronica, registrare i dati relativi agli accessi e alla navigazione sul web, controllando non solo l’utilizzo conforme delle dotazioni informatiche a disposizione del lavoratore, ma anche i suoi comportamenti dentro e fuori dei locali aziendali, durante e dopo l’attività lavorativa, tra i quali l’esempio più lampante è dato dal comportamento dei dipendenti sul web e sui social network.
Proprio allo scopo di prevenire controlli a distanza indiscriminati e pervasivi, l’art. 21 della legge n. 81 del 2017 sul lavoro agile, richiede che la regolamentazione dell’esercizio del potere di controllo datoriale contenuta avvenga nel rispetto dell’art. 4 della l. n. 300/1970.
Quest’ultima norma dello Statuto dei lavoratori, così come novellata dal d.lgs. n. 151/2015, diviene fondamentale nell’analisi della disciplina dello smart working, perché consente al datore di lavoro l’installazione di impianti e la fornitura di strumenti di lavoro, dai quali derivi la possibilità di controllo a distanza dell’attività lavorativa, solo in presenza di esigenze organizzative e produttive e previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali oppure previa autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro.
La stessa disposizione non richiede l’accordo in relazione ai meri strumenti di lavoro dai quali non derivi la possibilità di controllo a distanza ed agli strumenti di registrazione fisica degli accessi e delle presenze.
Il Ministero del Lavoro, con nota esplicativa del 18 giugno 2015, nel chiarire se i pc, i tablet e gli smartphone rientrassero nella prima o nella seconda categoria di strumenti, ha affermato che nel momento in cui tali dispositivi vengono modificati, ad esempio con appositi programmi di localizzazione e/o filtraggio dei dati, gli stessi, da meri “attrezzi di lavoro” al servizio del dipendente, diventerebbero strumenti potenzialmente utili al datore di lavoro per l’esercizio del potere di controllo e pertanto la loro consegna e il loro funzionamento dovrebbero essere necessariamente accompagnati dall’accordo sindacale.
Recentemente la giurisprudenza di legittimità ha escluso che l’intesa sindacale possa essere sostituita dall’accordo individuale. Invero, il semplice consenso del prestatore di lavoro allo svolgimento di controlli a distanza non può considerarsi valido, perché prestato in condizione di inferiorità contrattuale con il datore di lavoro e quindi non libero (C. 1733/2020). L’interesse della collettività dei lavoratori ad un utilizzo proporzionato degli strumenti di lavoro e della tecnologia da parte del datore di lavoro, anche se solo potenzialmente finalizzato ad attività di controllo, può essere tutelato unicamente dal consenso della rappresentanza dei lavoratori, e in subordine, dall’autorizzazione amministrativa. La violazione di tale principio integrerebbe per la stessa giurisprudenza non solo un illecito penale ma anche gli estremi della condotta antisindacale di cui all’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori (v. C. 9211/1997).

La Redazione del quotidiano La Stampa a Torino

Alla luce della suddetta normativa, anche per le aziende editoriali che si accingono ad introdurre piani di smart working all’interno delle redazioni, l’accordo con il comitato di redazione, quale rappresentanza sindacale aziendale, diventa imprescindibile.
Peraltro, lo stesso Contratto Nazionale di Lavoro Giornalistico già dispone, all’art. 6, che l’organizzazione del lavoro redazionale spetta, non all’editore, bensì al direttore, sentito il comitato di redazione nell’esercizio delle sue prerogative di cui all’art. 34, e che pertanto solo dal confronto tra editore, direttore e comitato di redazione possa scaturire una nuova organizzazione del lavoro in modalità agile non più fondata sull’obbligo della presenza quotidiana in redazione ma sull’impiego di moderni sistemi e strumenti di lavoro all’interno e all’esterno dei locali aziendali.
L’ultimo comma dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori stabilisce che le informazioni raccolte per il tramite degli strumenti di lavoro sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro, quindi anche a quelli disciplinari, a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità di uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli nel rispetto della normativa sulla privacy, data oggi dal Regolamento (UE) 2016/679 sulla protezione dei dati e, prima ancora dal Codice in materia di protezione dei dati personali di cui al d.lgs. n.196 del 2003.
In argomento è intervenuta a più riprese anche l’Autorità Garante della Protezione dei Dati Personali che ha ribadito l’importanza dell’accordo sindacale ovvero della preventiva autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro quali strumenti di tutela sostanziale, attraverso cui le rappresentanze sindacali e, in subordine, l’Ispettorato valutano le richieste datoriali in ragione della tutela delle libertà fondamentali e della dignità professionale dei dipendenti, fornendo al datore di lavoro indicazioni e limitazioni sulle modalità di utilizzo dei sistemi potenzialmente idonei ad effettuare un controllo a distanza dei lavoratori (si legga sul punto la Relazione del Garante per la Privacy del 23 giugno 2020, sui provvedimenti adottati nel corso dell’anno 2019, pp. 137-138 e 141-143).
Si segnalano infine, sul tema dei controlli per il tramite del web e della posta elettronica aziendale, le “Linee guida sull’uso di Internet e della Posta Elettronica” valide per tutto il settore privato e promosse sempre dal Garante per la privacy sin dal 2007. Si tratta di un documento nel quale l’Autorità ribadisce la necessità di applicare, anche ai rapporti di lavoro, i principi che sono alla base di ogni trattamento dei dati, in particolar modo i principi di necessità e proporzionalità del trattamento dei dati raccolti per il tramite di internet e della posta elettronica aziendale in relazione alle esigenze aziendali, tanto più in considerazione del fatto che lo svolgimento della professione giornalistica obbedisce a precise regole deontologiche tra cui la segretezza delle fonti. A conferma di quanto detto sopra, il rispetto di tali principi non può essere messo in discussione, neppure dal realizzarsi della condizione di liceità del trattamento e cioè dall’ottenimento del consenso da parte del singolo lavoratore.
Alle luce delle considerazioni esposte finora, l’approvazione dei piani di smart working da parte dei comitati di redazione dovrà essere accompagnata dalla massima attenzione affinché siano apprestate e realizzate le migliori forme di tutela della professione giornalistica e dell’organizzazione del lavoro come delineata dal contratto collettivo di lavoro. (giornalistitalia.it)

Avv. Giuseppe Catelli
Ufficio legale sindacale Federazione della Stampa

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