ISTANBUL (Turchia) – Un giornalista scomodo, un omicidio barbaro sotto la copertura di una sede diplomatica, un regime opaco che non ama il dissenso. Sembrano gli ingredienti della più classica delle spy story e sono, invece, i protagonisti di quella che va assumendo i contorni di una macabra resa dei conti: il regno dei Saud contro una voce critica. Jamal Khashoggi, 59 anni, reporter saudita in autoesilio e collaboratore del Washington Post scomparso il 2 ottobre dopo essere entrato nel consolato saudita di Istanbul, è stato probabilmente assassinato su mandato di Riad.
“Preparate i funerali”, hanno detto gli inquirenti turchi all’amico e collega Turan Kislakci, presidente della Turkish-arab media association, spiegando di avere “le prove che il giornalista è stato ucciso in maniera barbara” e che, dopo essere stato reso “incosciente”, il suo corpo è stato smembrato”. L’annuncio ufficiale della conclusione dell’inchiesta sarebbe questione di ore, al massimo un giorno.
Il Washington Post, citando due funzionari anonimi, scrive che si tratta di un “omicidio premeditato” del giornalista noto per le sue denunce degli arresti e delle limitazioni dei diritti civili da parte delle autorità saudite.
Una penna poco gradita al principe Mohammed bin Salman, primo in linea di successione all’ottantaduenne re Salman e protagonista assoluto del nuovo corso di Riad. Riformatore più o meno “cosmetico” su qualche fronte sociale – la concessione del diritto di guida alle donne e l’apertura dei cinema banditi fino a qualche mese fa – e implacabile persecutore di principi e miliardari potenzialmente pericolosi per il suo potere, in nome di un’improbabile crociata anticorruzione.
Undici mesi fa Mbs, come lo chiamano tutti, ha fatto arrestare anche il principe Alwaleed bin Talal, uno degli uomini più influenti del mondo vicino proprio a Khashoggi, di cui avrebbe finanziato nel 2015 un progetto di un canale satellitare in Bahrein subito fatto abortire.
Le autorità di Riad hanno definito “senza fondamento” la notizia dell’assassinio del giornalista all’interno del consolato dove era andato per chiedere alcuni documenti in vista del matrimonio con la compagna turca Hatice Cengiz. Sta di fatto che da lì non è più uscito e la donna, alla quale aveva lasciato il cellulare prima di entrare, ha chiamato la polizia dopo ore di attesa. Lo stesso giorno, hanno riferito fonti di Al Jazeera, una delegazione di 15 funzionari sauditi era arrivata in Turchia: ragioni della visita, ignote.
Un giallo che in queste ore si sta trasformando anche in un grattacapo diplomatico per la Turchia, detestata da MbS, e su sponde opposte con l’Arabia Saudita su diversi dossier, a partire dalla crisi del Qatar e dai rapporti con l’Iran.
Ankara ha una base militare proprio in Qatar e dall’estate 2017 ha sostenuto politicamente ed economicamente Doha, dopo che la monarchia wahabita, il Bahrain, gli Emirati arabi uniti e l’Egitto hanno imposto un blocco diplomatico e commerciale all’emirato, accusandolo di sostenere gruppi estremisti e terroristi e di intrattenere relazioni troppo strette con il regime degli ayatollah. (ansa)