CATANZARO – «Non c’è mai limite al peggio», recita il vecchio brocardo. E a leggere le ultime nuove su “Il Garantista” la veridicità ne è corroborata in pieno. Purtroppo, come molti miei colleghi ex “Ora della Calabria” sanno, fin dall’inizio, quest’avventura (o disavventura?), editoriale mi ha lasciato molto perplesso, intravedendosi chiaramente come, nel mettere su, sia la compagine aziendale sia la testata stessa, il “nume” di tutta l’iniziativa pensasse più alle proprie aspirazioni personali e alle modalità di accesso al generoso contributo nazionale che non alla salute del giornale che si andava a mettere in piedi.
So per esperienza diretta e per coscienza, come e quanto sia difficile perchè, con tutto me stesso e, specialmente per dare una concreta possibilità di esercitare la propria professione in piena libertà e dignità ai colleghi che hanno condiviso con me la vicenda dell’Oragate e tutte le sue conseguenze, ho cercato a lungo di dare vita a una nuova testata, ma più d’una volta ho dovuto ammainare bandiera proprio perchè non vi erano certezze adeguate né sul piano retributivo, né su quello della reale indipendenza societaria.
In un modo o nell’altro venivano sempre richiesti compromessi, opportunistici oblii che io sapevo si sarebbero riverberati pesantemente sul futuro dei miei colleghi stessi e che avrebbero anche inficiato la ragione che ci aveva portato alla protesta dura e coraggiosa scaturita dal “caso Gentile”.
Ebbene, proprio durante l’occupazione della redazione dell’Ora, Sansonetti per il tramite del suo più fedele gregario, faceva una serie di profferte e di insistenti “avances” professionali a un nutrito gruppo della nostra redazione, lucidamente convinto che la “morte” della nostra testata avrebbe creato un vuoto del quale approfittare al più presto.
Ma non bastano le condizioni di mercato “favorevoli” a … garantire il successo di una iniziativa editoriale. Nè è sufficiente l’indiscutibile competenza dei colleghi che purtroppo sono stati trascinati in questo disastro. Occorre pensare non soltanto a una linea editoriale coerente e convicente, ma anche ai conti, alle spese effettive che l’azienda può permettersi e non fare leva esclusivamente sui contributi pubblici. Questi ultimi, come ho ribadito più volte, nella logica imprenditoriale dell’editoria sana, dovrebbero servire all’espansione e al consolidamento, a dare ulteriore vitalità e slancio a un progetto e non esserne l’unica e fondamentale ragione d’essere.
Mi chiedo come un collega della lunga e navigata esperienza come Sansonetti non abbia valutato i rischi ai quali faceva andare incontro la sua redazione (se non erro lui gode comunque di adeguata pensione, ndr). E non trovo risposta. Purtroppo, quindi, non mi resta altro se non prendere atto che, evidentemente, non gliene importava granchè.
D’altra parte, in nome dei conti, della… garanzia che i colleghi avrebbero ricevuto finalmente lo stipendio dovuto, risparmiando sulla stampa, ha di fatto imposto loro la scelta di cambiare stampatore, rivolgendosi, a partire dall’ottobre 2014, guarda caso… a De Rose. Sì, proprio l’Umberto della telefonata minatoria che io registrai, poi rinviato a giudizio per aver provocato la mancata uscita in edicola dell’Ora della Calabria con la scusa di un guasto alla rotativa che, come ha verificato la perizia disposta dalla Procura di Cosenza, non si verificò mai. De Rose oggi è il principale beneficiario dei contributi erogati al “Garantista” (500 mila euro su 700 totali, ho letto su Giornalistitalia.it).
Ricordo che all’epoca in cui si annunciò questa svolta nella stampa del quotidiano sansonettiano, intollerabile se si tiene conto che gran parte dell’organico calabrese era vittima di una bruttissima storia che vede proprio lo stesso De Rose nel ruolo di “oppressore”, rivolsi un pubblico appello al direttore perchè salvaguardasse la dignità dei colleghi e non accettasse la logica del risparmio obbligato facendo quel passo. L’appello rimase ovviamente senza risposta. Ma la cosa più grottesca è che oggi, a più d’un anno di distanza, numeri e dati inoppugnabili ci dicono che il sacrificio di coscienza imposto ai giornalisti è stato del tutto inutile, o meglio utile solo a chi (De Rose per primo) beneficerà di fatto del denaro pubblico, mentre di questo non andrà nulla ai colleghi calabresi, ai quali, per altro, nell’oltre un anno passato dal cambio in poi, sono stati accreditati pochissimi stipendi (avanzano a tutt’oggi oltre 12 mensilità e 2 tredicesime).
Ricordando le promesse in virtù delle quali molti dei giornalisti dell’Ora lasciarono la protesta per “disavventurarsi” nel Garantista, credo fermamente che chi le fece dovrebbe ora vergognarsi. Ma è difficile sperare in tardivi barlumi di coscienza o in forme di pudore postumo.
Il direttore del quotidiano che tuona così tanto facilmente in tv, quale corifeo della legalità in Calabria, si “dimentica” puntualmente di far notare come il suo quotidiano venga stampato, e per sua libera scelta, da un soggetto per il quale la Procura di Cosenza pur avendo disposto il rinvio a giudizio continua a rimandare le udienze in ragione di una serie di “casuali” vizi procedurali, tanto che di recente è stato addirittura presentato un esposto contro questi oscuri ritardi. A fronte dei serrati attacchi che Sansonetti non lesina contro Gratteri o Cafiero de Raho, magistrati in prima linea nella lotta contro la ‘ndrangheta, l’attempato giornalista romano, tace sulla condotta quanto meno dubbia del Tribunale di Cosenza su questa vicenda. Forse il garantismo vale solo per gli imprenditori o i possibili sovventori delle proprie ambizioni?
La tristezza nel ripercorrere questa vicenda, di un simile quotidiano nato sulle ceneri di un altro, o meglio sulle ceneri di una battaglia significativa contro i potentati occulti che banchettano sulla nostra regione, è obbligata. Non posso che rinnovare la mia solidarietà agli amici e colleghi della redazione calabrese del Garantista, ma vorrei anche esprimere l’auspicio che questa loro – nostra – storia serva da monito, da esperienza magistrale, evitando per sempre che in futuro ci si lasci incantare da false profferte. Chi chiede determinati compromessi, chi si tappa occhi e orecchie davanti a certe storture, non può portare a nulla di buono perchè la correttezza è una e una soltanto e vale verso tutti indistinamente: ogni deroga è un indizio prezioso per capire che potrebbe essere riproposta verso qualunque altro soggetto.
Nel tentare di rimettere in piedi un giornale calabrese nella piena liceità e nella piena funzionalità, non ho mai messo al primo posto l’orgoglio o la sfida personale, per questo mi è stato facile rinunciarvi ogni qual volta capivo che non avrei saputo e potuto… garantire diritti e doveri in cui credo sul serio. Meglio la cassaintegrazione, meglio la disoccupazione dignitosa e vigile, che il lavoro non retribuito in un giornale che stringe intese moralmente discutibili. Questo, con buona pace di Sansonetti e dei suoi emuli, spero divenga chiaro per sempre.
Luciano Regolo