ROMA – La cerimonia funebre che ha segnato l’ultimo momento terreno di Elisabetta è stato l’evento televisivo che ha disegnato il futuro della Gran Bretagna, ma che ha anche segnato il presente della televisione, intesa come strumento planetario di comunicazione.
Le funzioni religiose, ma soprattutto la lunghissima teoria dei cortei in cui si è diviso l’omaggio alla sovrana, non hanno solo dato l’immagine di un Paese – pur se solo temporaneamente – politicamente pacificato, sebbene davanti alla gravissima crisi economica che sta attraversando, con milioni di persone che devono decidere quotidianamente se pranzare e cenare, quanto ha lanciato un messaggio universale di “perfezione stilistica”.
Un’occasione imperdibile per le televisioni di tutto il mondo che, sebbene quasi tutte servendosi delle medesime immagini (della Bbc), si sono cimentate nella ricerca di trovare il modo migliore per commentare e, prima ancora, raccontare.
Lunghe ore di trasmissione, che sono state agevolate da un’organizzazione ad un passo dalla perfezione assoluta.
È stato il Regno Unito che, nei decenni, Elisabetta ha difeso con forza anche quando vicende politiche o che la toccavano personalmente avrebbero potuto determinare un calo di intensità del suo sentirsi ed essere sovrana di tutti i britannici, anche di coloro che non ne condividevano sempre le scelte.
Da un punto di vista giornalistico, davanti alla prospettiva di seguire ore e ore di sequenze che spaziavano da ambienti chiusi ad enormi spazi aperti (con Qualcuno che ha deciso di onorare il ricordo della Regina non facendo cadere nemmeno una goccia di pioggia, quasi un evento nell’Inghilterra di queste settimane), ai giornalisti delle reti televisive si è ragionevolmente posto il dubbio se accompagnare le immagini con dei commenti o lasciare che esse, scorrendo nel silenzio, prevalessero su qualsiasi contributo affidato alla parola.
Non c’è stata una scelta univoca perché le televisioni che hanno coperto l’evento hanno lasciato ai conduttori la possibilità di adattarsi a quel che vedevano sui loro monitor, decidendo volta per volta se tacere o dire qualcosa. Certo, ci sono state delle trasgressioni a questo schema, con qualcuno che, da studio, poneva domande agli esperti ospiti tagliandone le risposte o, peggio, parlandoci sopra.
Ma sono cose quasi scontate quando non si riesce a governare uno dei principi del giornalismo televisivo, quello di partecipare sempre e comunque all’evento che si racconta, ma non facendosi “governare” da esso.
Cosa, quindi, da un punto di vista giornalistico, la copertura dei funerali di Elisabetta II ci lascia?
David Zurawik, uno dei massimi esperti americani di giornalismo (l’elenco di riconoscimenti che gli sono stati tributati negli anni è impressionante), docente universitario e, in questo caso, analista per CNN, commentando l’evento, ha fatto un’interessante considerazione che rimanda ad eventi simili, seppure lontani nel tempo: «Alla fine, nonostante tutta la grande araldica e lo sfarzo delle bande musicali e dei colpi di artiglieria durante le prime sei ore degli eventi funebri, i momenti più tranquilli sono stati quelli che sembravano più evocativi e risonanti.
I suoni degli zoccoli dei cavalli e degli stivali militari che colpivano il marciapiede in perfetto orario di marcia al ritmo dei tamburi hanno sicuramente ricordato ad alcuni baby boomer americani il funerale di Kennedy. Se quei suoni non hanno innescato una memoria collettiva dal 1963, probabilmente lo ha fatto la vista di un attendente che reggeva il cavallo preferito della regina mentre il carro funebre trasportava le spoglie di Elisabetta mentre si recava al Castello di Windsor. Mi ha fatto pensare al cavallo senza cavaliere nel corteo funebre di Kennedy».
Ma forse, più di mille commenti, tutti meritevoli della massima attenzione, basta rileggere quello che Anderson Cooper, anchor di CNN, ha detto per fare tacere qualche collega che, facendosi prendere la mano dalla solennità dell’evento, aveva pronunciato qualche frase inutile: «Ora ascoltiamo solo le immagini e i suoni». (giornalistitalia.it)
Diego Minuti
Caro Direttore, Caro Carlo, devo riconoscere che Diego Minuti ci regala qui un affresco inedito e assolutamente interessante del racconto che in questi giorni si è fatto della morte della regina, con una serie di riflessioni e di analisi che riconfermano quanto la televisione sia fondamentale nel ricostruire la storia di ogni paese e di ogni popolo, e soprattutto quanto la televisione alla fine dia ad ogni cronista “in diretta” la libertà e la possibilità di tirare fuori il meglio dei suoi sentimenti e della sua qualità professionale. Davvero indimenticabile l’immagine del cavallo della regina che al passare del carro funebre ritrae verso l’alto la zampa destra, un gesto certamente causale, involontario, distante anni luce dalla cerimonia in corso quel giorno, ma che la TV e i suoi commentatori hanno preso a pretesto per raccontare anche l’ultimo saluto alla regina da parte del suo cavallo preferito. Caro Diego, è la magia delle immagini. Hai ragione tu, grande televisione.