COSENZA – Premetto due cose: voglio bene a Sansonetti e in ciò che state per leggere non c’è neppure la minima ombra di risentimento. Fatta questa doverosa premessa, passo al Dubbio, l’ultima impresa editoriale del mio ex direttore. Questo giornale, lo sanno anche i muri, nasce dalle ceneri del Garantista, di cui recupera una buona fetta dei redattori romani. Prima di proseguire, un in bocca al lupo anche a loro: che sia la volta buona, visto che si tratta dell’ennesima scommessa di un gruppo di persone scampato a più naufragi. Lunga vita editoriale, lunga presenza in edicola. Tuttavia, mi scuseranno Sansonetti e i colleghi se stavolta mi metto dalla parte di chi ha mugugnato non appena si è sparsa la voce di questo nuovo giornale e ha tentato pure qualche protesta: gli avvocati, soprattutto i giovani, che, a quanto ho capito dai comunicati delle loro associazioni di categoria, non hanno ben digerito Il Dubbio. Li capisco: in molti coltivano ben altri e più concreti “dubbi”, in particolare sulla possibilità di esercitare una professione sempre meno redditizia e sempre più onerosa. Già: indossare la toga, al giorno d’oggi, implica una trafila non dissimile per vessazioni (soprattutto economiche) a quella degli operatori dell’informazione. Perciò mi pare giusto, stavolta, preferire i colleghi di sfiga a quelli di tesserino. L’iter per diventare avvocato lo conosciamo tutti. Conosciamo un po’ meno il “filtro” escogitato da alcuni vertici del loro Ordine con la collusione di fette della classe politica per evitare il sovraffollamento delle aule di giustizia: l’obbligo di versare alla Cassa forsense, la cassa previdenziale delle toghe, tremila euro all’anno, che si produca reddito o meno. Questa somma, leggera per i legali ricchi (quelli che difendono con parcelle a quattro-cinque zeri minimo), ma quasi insostenibile per i “poveri” (che fanno fatica a iscrivere nei gratuiti patrocini i poveri Cristi e portano pazienza con i cittadini comuni, i quali non possono permettersi le parcelle di cui sopra) è un paradosso all’italiana, per giunta un po’ becero: i liberi professionisti non solo sono obbligati a versare a un unico ente, un po’ come i metalmeccanici e i dipendenti pubblici con l’Inps, ma ricevono da questo ente un trattamento che non li tutela. Infatti, questa contribuzione “percentuale” minima è una vistosa eccezione “di destra” in una previdenza che ha sofferto sin troppo una generosità “di sinistra” (con il sistema “proporzionale”). Non che un sovraffollamento non ci sia, ci mancherebbe: ma anziché risolverlo a monte con sistemi più seri – corsi di laurea davvero selettivi e criteri di svolgimento dei tirocini professionali più rigidi – i big dei fori italiani sono andati per le spicce: non guadagni abbastanza? Fuori dai piedi. La consueta tentazione italiota di trasformare le classi in caste. Tant’è: il sovraffollamento va sin troppo bene quando è causato da praticanti che, nei casi peggiori, vanno bene per fare le fotocopie e le file in cancelleria e, in quelli migliori, per svolgere attività al posto del “dominus”. In entrambi i casi gratis. Non va più bene quando questi diventano avvocati, provano a far concorrenza, com’è loro diritto, e intaccano i pacchetti di clienti. Come se non bastasse, c’è un’altra tagliola: la tassa annua d’iscrizione, che in alcune città sfiora, a quel che ho appreso, i mille euro.
Che c’entra, si chiederà qualcuno, questa lunga digressione sulle tagliole economiche subite dai legali col Dubbio, da oggi in edicola? C’entra eccome: il giornale è sponsorizzato dal Consiglio nazionale forense, lo stesso che ha istituito i gettoni di presenza per le proprie sedute, ed è egemonizzato dalla cordata che fa capo al friulano Andrea Mascherin, penalista di grido dei Tribunali centrosettentrionali e non solo. Questa è storia nota e pesante a cui sono seguite polemiche altrettanto pesanti. Scavalco le questioni di legittimità e, persino, di legalità, sollevate in vari esposti (di cui, ovviamente, possiedo copia) ben argomentati da vari esponenti del fronte “antiDubbio” e arrivo al dunque: ma gli avvocati hanno davvero bisogno di un giornale, per di più generalista? Lo dice uno che ha sempre sognato di lavorare per la stampa specializzata e, al contrario, ha praticato il generalismo più spinto.
L’idea di una testata generalista presuppone che ci sia un vasto pubblico interessato alle tematiche ipergarantiste di Sansonetti e che quindi ci siano persone disposte a comprare in massa il neonato quotidiano. In entrambi i casi, mi pare che la risposta sia negativa: la “gente” ha altre gatte da pelare e gli avvocati non sono un gruppo sociale, lo dico in termini weberiani, così coeso da esprimere una volontà politica univoca. Non sono, tanto per capirci, un partito, in cui la dialettica delle correnti trova alla fine una sintesi. E vi spiego perché: l’avvocato è un soggetto del processo e ogni processo presuppone al minimo la dialettica e, al peggio, il conflitto (che, mi confermano molti addetti ai lavori e tanti esperti cronisti giudiziari, a volte tocca punte davvero becere). Ora, gli avvocati, con le loro varie specializzazioni, sono i protagonisti di questo conflitto. Anzi, sono quelli che lo portano concretamente avanti. Ciò implica che non la possano pensare tutti allo stesso modo. Anzi: guai se così fosse, soprattutto per gli assistiti. Faccio un esempio: un avvocato difensore ha esigenze e problemi diversi da un avvocato di parte civile. Tranne sorprese dell’ultimo minuto, ho la certezza, avendo lavorato per anni con Sansonetti, che Il Dubbio si schiererà più con i difensori che con le parti civili. E questo è l’esempio più limitato e semplice. A voler scavare, dubito – stavolta sì! – che Il Dubbio possa ospitare le istanze di civilisti e amministrativisti, che spesso sono più in prima fila nella difesa degli interessi, dei bisogni e dei diritti dei cittadini comuni. Che poi sono gli stessi a cui dovrebbe rivolgersi comunque una testata generalista. Per curare questi aspetti non secondari, anzi maggioritari, della vita degli operatori del diritto (e quindi dei cittadini) occorrerebbero o dei fini giuristi o dei cronisti abituati alla trincea della quotidianità. Con tutto il rispetto per dei colleghi di cui comunque ho apprezzato la bravura, dubito che Il Dubbio abbondi di queste due figure. Che dire? Ripeto l’in bocca al lupo. Ma con un’avvertenza: il lupo, stavolta, è affamato a ragione e ha denti affilati. E, soprattutto, fa branco tra quegli avvocati che Sansonetti & co. dovrebbero rappresentare. Per finire: i soldi con cui è stato finanziato Il Dubbio sono pubblici. Non si tratta più, è chiaro, dei quattrini della Presidenza del Consiglio. Ma di soldi presi dalle quote associative degli avvocati, il cui Ordine, soprattutto il Cnf, ha personalità giuridica pubblica e non natura privatistica. Perciò anche nell’uso di questi soldi occorrerà oculatezza: il fatto che provengano da una parte degli italiani, cioè i duecentocinquantamila avvocati, e non da tutti, non toglie che siano soldi pubblici. E spenderli per difendere, in nome di un ultragarantismo innocentista, le istanze dei pochi che possono permettersi parcelle a cinque zeri, sarebbe davvero un delitto da non garantire in alcun modo.
Saverio Paletta ex redattore del Garantista e de L’Ora della Calabria
I miei complimenti. Spero che la legalità e la giustizia trionfino. Parole, il cui significato non sempre coincide.