Nel nuovo libro del giornalista pugliese l’Atleta di Taranto e l’agonismo nell’Antichità

Il Campionissimo di Giuseppe Mazzarino

Giuseppe Mazzarino e la copertina del suo nuovo libro

TARANTO – È in libreria “Il Campionissimo. L’Atleta di Taranto e l’agonismo nell’Antichità” (Scorpione Editrice, 82 pagine, 18 euro), il nuovo libro del giornalista Giuseppe Mazzarino.
Con quelli di Tokyo 2020, spostati causa pandemia al 2021, siamo arrivati ai Giochi della XXXII Olimpiade, tenuti dalla fine del XIX secolo al XXI secolo; parliamo di quelli dell’era moderna, perché gli antichi si snodarono nell’arco di più mille anni (almeno) dalla prima edizione “ufficiale”, nel 776 a.C., all’ultima, Giochi della CCXCIII Olimpiade (“Olimpiade” era per i Greci il periodo di quattro anni che andava da una celebrazione dei Giochi Olimpici all’altra), nel 393 d.C., quando, come altre manifestazioni “pagane” (i Giochi Olimpici, come gli altri Giochi dell’antichità greca, ebbero infatti sempre forti connotazioni religiose, oltre a quelle agonistiche), furono soppressi dall’imperatore Teodosio.
Il vincitore di una gara ad Olimpia veniva proclamato “Olimpionico” (che vuol dire appunto vincitore ad Olimpia).
Probabilmente molto più antichi della data “ufficiale”, i Giochi di Olimpia furono i più famosi del mondo greco e di tutta l’Antichità. Sul loro esempio nacquero, nel VI secolo a.C., altri celebri Giochi, definiti “panellenici”, perché aperti alla partecipazione di tutti i Greci (che non costituirono mai un unico Stato ma erano divisi in molte Città-Stato, le pòleis) ed anche, come pure quelli di Olimpia, “Giochi coronati”, perché l’unica ricompensa che spettava agli atleti vincitori era una corona di fronde vegetali intrecciate: i Giochi Pitici di Delfi (582 a.C.), i Giochi Istmici di Corinto (582 a.C.), i Giochi Nemei, a Nemea, una località nei pressi di Argo (573 a.C.). L’atleta che vinceva nella sua specialità le gare dei Giochi coronati nel periodo da una celebrazione dei Giochi Olimpici all’altra veniva proclamato “periodonikes”.

Ad Atene, sempre ad imitazione dei Giochi Olimpici e degli altri Giochi panellenici, vennero istituite, con finalità propagandistiche e con l’assegnazione di lucrosi premi in denaro, nonché di anfore contenenti il prezioso olio degli uliveti sacri di Atene e raffiguranti la specialità agonistica nella quale era stata conquistata la vittoria (le anfore panatenaiche), le Panatenee (566 a.C.; sospese per un certo tempo, furono riprese intorno al 450 a.C. per iniziativa di Pericle).
Tutti i Giochi dell’antichità greca erano caratterizzati da forte tensione agonistica: per i Greci l’ideale di De Coubertin, resuscitatore dei Giochi in età moderna, sull’importanza di partecipare e non di vincere era un assoluto non senso. Contava solo la vittoria, che dava gloria ed onori (e magari spianava la strada a carriere politiche) al vincitore, riverberando sulla sua stessa città.

La Tomba dell’Atleta custodita nel Museo Archeologico di Taranto

E Taranto fu, nell’Occidente greco, una delle città maggiormente sedotte dall’ideale agonistico; non ebbe molto tempo, per far partecipare i suoi atleti ai Giochi: circa tre secoli e mezzo, tra la fondazione (706 a.C.) e la sconfitta definitiva nel corso della II guerra punica, quando si era schierata con Annibale, e la sua distruzione (209 a.C.), ma atleti tarantini riportarono almeno nove vittorie ad Olimpia (esistono elenchi, per quanto mutili, degli olimpionici), terza città della Magna Grecia e Sicilia greca dopo Crotone e Siracusa, e svariate negli altri Giochi; ebbe in Icco, vincitore ad Olimpia nel pentathlon (di sicuro una volta, forse addirittura tre), non solo un campione quanto, soprattutto, un celeberrimo ginnasiarca (qualcosa di più di un allenatore), considerato già tra i suoi contemporanei (fra i quali Platone) l’idealtipo di quel che oggi definiremmo un laureato in Scienze motorie. Ma c’è chi si spinge fino a considerare Icco, che fu anche filosofo pitagorico, il fondatore della Medicina dello Sport.

La ricostruzione della Tomba dell’Atleta

Non solo. A Taranto, insieme con sepolture collettive definite dagli studiosi “tombe degli atleti tarantini”, fu rinvenuta nel 1959, un una fastosa sepoltura singola, per antonomasia definita “Tomba dell’Atleta”, l’unica deposizione integra di un atleta dell’intero mondo greco.
Ai quattro capi della tomba c’erano quattro anfore panatenaiche (una ridotta in frantumi illeggibili già in antico), l’equivalente delle “medaglie” assegnate ai vincitori delle Grandi Panatenee: da un lato rappresentavano Atena in armi, dall’altro una scena che simboleggiava la disciplina in cui l’atleta aveva trionfato. Le tre anfore ancora integre riportavano una scena di pugilato, una di pentathlon (il pentathlon antico: lancio del giavellotto, lancio del disco, lotta, salto in lungo, corsa sulla misura dello stadion, praticamente i 200 metri piani) ed una di corsa delle quadrighe, la Formula 1 dell’antichità, anche per i costi esorbitanti che comportava. Lo scheletro, sottoposto a numerosi analisi di paleomedicina (ed anche a ricostruzioni delle fattezze con le metodiche della moderna polizia scientifica), era palesemente quello di un pentatleta; se avesse poi realmente vinto quelle gare ad Atene, o se invece le anfore ai lati del sarcofago avessero funzione ostentativa, è questione ancora dibattuta.

Lo scheletro dell’Atleta di Taranto

Se davvero l’Atleta di Taranto (una specie di Milite Ignoto dell’atletismo) si fosse imposto in quelle diversissime competizioni dovremmo dedurne che sia stato lui, davvero, rubando l’epiteto a Fausto Coppi, il Campionissimo: nessun grande campione dell’antichità o dell’era moderna è riuscito, infatti, ad imporsi in discipline così differenti.
Tra l’altro, la datazione delle anfore (fra il 500 ed il 480 a.C.) situa l’Atleta in un arco di tempo nel quale i mutili registri di Olimpia annotano (Giochi della LXXVI Olimpiade, 476 a.C.) anche un olimpionico nel pentathlon del quale si è perso il nome ma è rimasta la nazionalità tarantina. E potrebbe avere bissato la vittoria nel pentathlon nei Giochi del 468 a.C. (anche quim, nazionalità tarantina ma del nome rimane solo la terminazione: …tion).
Nel 1959 qualcuno gridò alla scoperta della tomba di Icco; le analisi successive smentirono subito la pur affascinante ipotesi: Icco era infatti tendenzialmente vegetariano e molto frugale, e dopo la carriera “sportiva” ebbe lunga vita come allenatore e “medico”. Ed oltretutto la sua “fioritura” si situa mezzo secolo dopo la morte dell’Atleta. Che morì in una età compresa fra i 27 ed i 30 anni, comunque non oltre i 35 anni, quasi sicuramente per uno squilibrio metabolico indotto da una alimentazione iperproteica fortemente sbilanciata, una sorta di doping ante litteram o peggio di quei trattamenti forzati prolungati ai quali erano sottoposti gli atleti della defunta e non rimpianta Germania Est.
Dall’esame paleopatologico delle ossa risulta che si nutriva quasi esclusivamente di carne, oltreché di molluschi e crostacei (da cui l’alto livello di rame e soprattutto di arsenico nelle ossa) che probabilmente raccoglieva egli stesso, immergendosi in Mar Piccolo, come è documentato da una escrescenza ossea nel condotto uditivo esterno tipica dei nuotatori in profondità, con un apporto di carboidrati pressoché irrilevante (cosa dannosissima). Qualcuno ha ipotizzato anche che possa essere stato avvelenato, magari per carpirne l’eredità: perché doveva essere ricchissimo (le scuderie di quadrighe le possedevano solo i miliardari dell’epoca); ma di sicuro il suo metabolismo aveva subito fenomenali distorsioni.
Se davvero si fosse imposto in un breve arco di vita in quattro competizioni assai diverse ad Atene (per le quadrighe il discorso è comunque diverso: veniva incoronato vincitore il proprietario, non l’auriga; era una specie di campionato costruttori di Formula 1…) ed avesse trionfato due volte nel pentathlon, la gara più completa, ad Olimpia, potremmo concludere che ci troviamo di fronte davvero al campione dei campioni. Un campione che non ha nemmeno un nome.
Forse è meglio così. Come il Milite Ignoto, che simboleggia in quanto tale tutti i soldati caduti combattendo per la Patria, l’Atleta Ignoto di Taranto simboleggia tutti gli atleti del mondo antico.

Barbara Davidde, Soprintendente nazionale per il patrimonio culturale subacqueo, con sede a Taranto, premiata a Reggio Calabria con il “Premio Bronzi di Riace” per “Archeologia e ricerca subacquea”

E con la sua precoce morte per squilibrio metabolico mette anche in guardia dal pericolo del doping, della chimica o della dieta forzata, specie improvvisata, che pretende di sostituirsi all’allenamento ed alla natura.
Dell’Atleta di Taranto, dell’agonismo nell’antichità, delle varie “specialità” presenti nei Giochi, insieme con molte notizie e “curiosità” che poi si rivelano molto più profonde di quanto appaiano a prima vista (dal divieto alle donne non solo di prender parte ai Giochi Olimpici, ma persino di assistervi, pena la morte, con la paradossale proclamazione di olimpioniche in competizioni equestri, in quanto proprietarie di scuderie, di alcune donne, alla singolare scelta di un pancraziaste di non arrendersi ma di morire, riportando però la vittoria per resa dell’avversario dolorante, primo ed ultimo caso di olimpionico proclamato tale da morto), si occupa, dunque, Giuseppe Mazzarino, giornalista e scrittore, divulgatore in vari campi dello scibile, nel suo “Il Campionissimo. L’Atleta di Taranto e l’agonismo nell’Antichità” (Scorpione Editrice, Taranto), con una prefazione di Luigi Ferrajolo, per vari mandati presidente dell’Unione stampa sportiva italiana, ed introduzione di Barbara Davidde, soprintendente nazionale per il patrimonio culturale subacqueo.

CHI È GIUSEPPE MAZZARINO

Cronista parlamentare di punta della Gazzetta del Mezzogiorno, Giuseppe Mazzarino ha sempre affiancato all’attività di giornalista politico quella in ambito culturale; dopo la brutale soppressione della Redazione romana ha curato le pagine di cultura e spettacoli dell’edizione tarantina del suo giornale.

Giuseppe Mazzarino

Senza mai tralasciare l’attività professionale, ha ricoperto e ricopre svariati incarichi nelle organizzazioni di categoria del giornalismo. È stato vicepresidente dei corrispondenti da Roma dei quotidiani italiani, vicepresidente dell’Assostampa di Puglia, consigliere nazionale dell’Ucsi (Unione cattolica della stampa italiana) e dell’Ordine dei Giornalisti, presidente del collegio dei revisori della Fnsi, all’epoca sindacato unico dei giornalisti, presidente del collegio sindacale dell’Unci (Unione nazionale cronisti italiani), presidente del collegio dei revisori dell’Ordine dei Giornalisti della Puglia, sindaco supplente dell’Inpgi.
Dal 1989 al 2012, anno del prepensionamento, ha fatto parte del Comitato di Redazione della Gazzetta del Mezzogiorno. Laureato in Lettere moderne, insegna Storia del giornalismo nel master in giornalismo dell’Università degli Studi di Bari. È uno dei componenti del gruppo di lavoro sulla deontologia del Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti ed è stato uno dei promotori e fondatori della Figec Cisal, il nuovo sindacato unitario dei giornalisti e degli operatori dell’informazione, della comunicazione, dell’editoria, dell’arte e della cultura, di cui è componente della Giunta esecutiva e fiduciario di Taranto e della Puglia. (giornalistitalia.it)

 

 

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