LOCARNO (Svizzera) – Nuovo capitolo della querelle svizzera tra il giornale domenicale del Canton Ticino “Il Caffè” e la clinica Sant’Anna di Sorengo.
Il procuratore pubblico ha emesso quattro decreti d’accusa nei confronti del direttore Lillo Alaimo, del vicedirettore Libero d’Agostino, del caporedattore Stefano Pianca e della giornalista Patrizia Guenzi. Tutti sono accusati di “diffamazione ripetuta”; in più, al direttore viene contestata la violazione della legge federale contro la concorrenza sleale.
“Il Caffè – scrive, infatti, il giornale annunciando di aver già inoltrato opposizione tramite il legale Luca Allidi – ha fatto concorrenza, sleale per di più, alla clinica Sant’Anna. Almeno così la pensa il Ministero pubblico. Nei giorni scorsi il procuratore Antonio Perugini ha, difatti, firmato un decreto d’accusa contro il direttore responsabile, Lillo Alaimo, per concorrenza sleale e ripetuta diffamazione, per l’inchiesta del nostro settimanale sull’errore medico, avvenuto nella clinica di Sorengo nel luglio del 2014, che provocò l’asportazione dei seni a una paziente. Per il vicedirettore Libero D’Agostino, il caporedattore Stefano Pianca e la giornalista Patrizia Guenzi, la procura si è limitata all’accusa di ripetuta diffamazione. Sul sito del giornale (www.caffe.ch) la versione integrale dei decreti d’accusa. Mentre il procedimento a carico della nostra testata è andato avanti rapido, pare fermo, invece, quello che riguarda il chirurgo, autore dell’errore medico”.
Il Caffè spiega che «il reato di concorrenza sleale, precisa il procuratore, è imputato ad Alaimo, “per aver denigrato le prestazioni, i prezzi e le relazioni d’affari della Sant’Anna”. Viene motivato con le stesse ragioni che sostanziano l’accusa di ripetuta diffamazione per i quattro giornalisti. Sintetizzando, “per aver ricostruito solo parzialmente i fatti e/o amalgamando fatti tra loro diversi – scrive il procuratore –, esagerando l’importanza di singoli elementi e/o allineando affermazioni errate o parzialmente tali”. Il tutto per mettere in cattiva luce la clinica: “Suggerendo nessi di causalità non provati (…) e/o ipotizzando condotte penalmente rilevanti (…), suscitando dubbi malevoli (…)”. Sollevando dubbi sulle inchieste in corso “e/o reputandone necessarie altre”. In sostanza il Caffè avrebbe veicolato nel pubblico “il sospetto di ‘favoreggiamento’ nei confronti del dr. med. Rey da parte della direzione/conduzione della clinica, ‘coprendone’ il noto errore medico (…)”. Insinuando anche dei sospetti “su una precaria sicurezza sanitaria dei pazienti legati ad una organizzazione carente ritenuta ‘pericolosa’ per la loro salute (…), sulle pratiche di fatturazione ‘opaca’ delle prestazioni sanitarie prestate ai pazienti e sull’esistenza di esercizio abusivo di funzioni mediche da parte di semplici infermieri”».
La Clinica Sant’Anna, nel commentare i decreti, afferma di rispettare “la libertà di stampa come anche il giornalismo d’inchiesta; ma questo quando la legge e la verità non vengono violate! L’evidente scopo ultimo dell’accanimento giornalistico de Il Caffè era mettere in dubbio la qualità e la sicurezza delle cure mediche fornite dalla clinica (e più in generale dal settore sanitario privato)”. Ma Il Caffè ribadisce che “nei decreti di accusa non si contestano errori”.
«Il professor Bertil Cottier, esperto di diritto dei media, non commenta il decreto d’accusa, ma – sottolinea Il Caffè – rileva come nello stesso “non ci sia una sorta di bilanciamento tra il diritto di informare e l’esplicitazione del fatto che il giornalista abbia voluto denigrare”. Sono questi i due punti che la Cedu, la Corte europea dei diritti dell’uomo, fa valere nel trattare la concorrenza sleale contestata ai mezzi d’informazione: “Per Strasburgo – ricorda Cottier – è decisivo stabilire se l’obiettivo del giornalista è stato di denigrare, di arrecare un danno oppure quello di informare. Secondo la Cedu bisogna tener conto del ruolo della stampa. La Corte cita alcuni ambiti, tra cui la sanità, in cui c’è necessità di informare”».
Ruben Rossello, presidente dell’Associazione ticinese dei giornalisti, dal canto suo afferma che «la decisione del Caffè di opporsi ai decreti d’accusa e di chiedere il processo pubblico è una decisione coraggiosa che l’Atg appoggia pienamente. Ciò consentirà di fare chiarezza soprattutto sull’accusa di concorrenza sleale applicata al giornalismo. Si tratta di una necessità: ogni inchiesta giornalistica rischierebbe altrimenti in futuro di venir fermata con la stessa accusa. Non possiamo che essere grati ai colleghi che affronteranno il processo e che ci consentiranno di avere una giurisprudenza importante su questa delicata materia».
Intanto la petizione lanciata dal giornale ticinese ha raggiunto 2645 firme, tra cui quella del direttore di Giornalisti Italia, Carlo Parisi, segretario generale aggiunto della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, il quale evidenzia “il paradosso della contestazione ad una testata giornalistica di concorrenza sleale non nei confronti di un altro giornale, ma di una clinica, e l’accusa di diffamazione pur in presenza di una notizia vera. Campanelli d’allarme per la libertà di stampa seriamente sotto attacco ad ogni latitudine del mondo”.
“Le firme non sono poche”, evidenzia Ruben Rossello, secondo il quale “forse avrebbero potuto essere in numero ancora maggiore con una cerchia di primi firmatari più ampia. Ma non è il dettaglio dei numeri a contare. Ciò che conta in queste migliaia di firme di cittadini ticinesi, ma non solo, sono lo slancio e la convinzione istintiva che il giornalismo è qualcosa di delicato e utile alla società tutta. E che dunque va protetto e salvaguardato”.
“La nostra categoria – aggiunge il presidente dell’Associazione giornalisti ticinesi – le accoglie molto volentieri queste firme: esse infatti ci sembrano un forte sostegno all’idea di un giornalismo di qualità. Il messaggio di cui sono portatrici va al di là del singolo caso nato con la denuncia (naturalmente legittima in uno Stato di diritto) della Clinica Sant’Anna contro i colleghi del Caffè; manifestano un sostegno e una fiducia ben più vasti nel ruolo essenziale della stampa e dei media”.
“Proprio i giornalisti – sottolinea Rossello – sono tra coloro che più hanno sofferto la congiunzione tra crisi economica e cambiamenti tecnologici. Tutti i media, la carta stampata in particolare, affrontano senza risposte sicure molte gravi questioni. Il patto tra la pubblicità e i giornali che permetteva alla stampa di vivere facilmente e di proporre anche giornalismo di qualità è finito da tempo, travolto dai molti rivoli nei quali si disperdono oggi gli annunci pubblicitari. C’erano giorni in cui al Corriere del Ticino la pubblicità veniva addirittura respinta, perché eccessiva. Oggi, invece, perché la pubblicità manca (o viene dirottata) chiude un settimanale come l’Hebdo”.
“Con i cambiamenti tecnologici (chi se lo immaginava il mondo web) – ricorda il presidente dei giornalisti ticinesi – sono esplose questioni di identità e di rapporto coi lettori in fuga dai media tradizionali. Per rincorrere questi lettori il giornalismo sconfina spesso nell’intrattenimento, nell’infotainment, in una rincorsa affannosa che non dà certezze. E a tutto ciò, quasi con imbarazzo, dobbiamo aggiungere che in Ticino e nella Svizzera tedesca i giornalisti sono privi di un contratto collettivo di lavoro fin dal 2004. Una situazione che ha peggiorato le condizioni di lavoro della categoria e ha reso quasi impossibile la vita dei giornalisti free lance. Persino Doris Leuthard ha invitato gli editori (recalcitranti) a discutere presto con noi un nuovo Ccl”.
“In un tempo come questo, ben vengano oltre 2600 firme di cittadini che – taglia corto Rossello – ci ricordano la grande missione civica del giornalismo, in un Paese che continua a volersi libero e a voler dibattere pubblicamente ogni questione essenziale”. (giornalistitalia.it)
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