ROMA – Per riportare il giornalismo ai livelli di popolarità e credibilità che aveva conosciuto ma che, in larga misura, ha perso, occorre che gli operatori dell’informazione imparino “la conoscenza”.
È il messaggio che Tom Patterson consegna alla pubblicazione, edita da Vintage e significativamente intitolata “Informing the news” per precisare: “The need for knowledge based journalism”.
Le materie che vengono trattate su quotidiani e periodici pretendono maggiore consapevolezza e approfondimento. Troppo spesso il lettore è più preparato di chi ha scritto l’articolo e, dunque, nelle condizioni di scoprirne incertezze, imprecisioni, dubbi e, qualche volta, veri e propri errori. Poi Internet mette nelle condizioni di verificare e confrontare i contenuti con risultati che rischiano di essere sfavorevoli alla stampa scritta.
Un reportage non può più limitarsi a essere un “pezzo” e basta, magari ben scritto (ma non sempre). Occorre che risponda ai criteri “delle massime virtù scientifiche”.
I sociologi dei mass media, soprattutto negli Usa, insistono sulla necessità di professionalizzare il giornalista rendendolo un esperto, capace di analisi e di commenti adeguati alle necessità sofisticate di questi tempi.
Il primo e, forse, più famoso è Philip Meyer. Ma, adesso, si aggiunge l’autorevolezza di Tom Patterson, direttore del dipartimento “Journalist’s Resource” della Harvard Kennedy School.
Il suo ragionamento parte dalla verifica su come si è abbassata la qualità delle news. Occorre “riattualizzare” il messaggio giornalistico cominciando con “il validare” e “il distinguere”, all’interno di una notizia, i dettagli e i particolari rilevanti per una comunità. Come dire che troppo “colore” e troppo gossip riempiono di righe le pagine dei quotidiani ma non consentono una comunicazione efficace e soddisfacente. Il lettore sarà anche bombardato da immagini e suggestioni ma, alla fine, resta deluso della pochezza di contenuti.
Cambiare marcia è indispensabile anche se – inutile nasconderselo – non si tratta di un percorso scontato.
L’attendibilità dei giornalisti deve passare per un nuovo rapporto con il sapere. I giornalisti finiscono per sembrare degli esperti “precari”. Che si tratti di politica, d’istituzioni, di giustizia o di sport, la loro conoscenza risulta sempre provvisoria, un po’ incespicante e abbastanza incerta. E, poi, il mondo dell’informazione si muove senza metodo. Nel senso che non è in grado di spiegare come fa a sapere quello che sa o perché l’individuazione e l’esposizione dei fatti è più efficace in un modo piuttosto che in un altro. E, certo, non esiste uno strumento di valutazione che valga generalmente.
Questo significa che i giornalisti non sono nelle condizioni di sfruttare pienamente la conoscenza disponibile nelle università, nei centri di ricerca, nelle biblioteche. Per recuperare forma e sostanza della professione occorre cominciare proprio da lì.
Lorenzo Del Boca