PALERMO – I parenti del boss Totò Riina lanciano attacchi a giornalisti e magistrati utilizzando Facebook: prima la figlia Lucia è intervenuta sul bonus bebè che le era stato negato dalla Regione e dall’Inps, poi il genero Antonino Ciaravello, marito di Maria Concetta, si scaglia contro “gente di legge e giornalisti accaniti contro di noi”. La coppia vive in Puglia.
“Palazzolo (Salvo, cronista di Repubblica-Palermo, ndr) aspetta e spera, tu e tutta la procura di Palermo che ti foraggia gli scoop prima che le cose accadono – aggiunge Ciavarello –. E poi io non lancio tesi, io a differenza tua parlo per cose di cui sono certo e non come scrivi tu di ciò che i registi ti imboccano”.
Quindi, un affondo sui sequestri ai beni dei Riina messi a segno dai carabinieri lo scorso 19 luglio: “Avete sequestrato con ingiusta violenza la mia azienda, ma non potrete mai sequestrare il mio Sapere ed il mio Mestiere, e per questo risorgerò presto dalle mie ceneri come l’Araba Fenice più Grande e più Forte di prima – conclude Ciavarello –. Per il resto arriverà il giudizio di Dio anche per voi che avete permesso ed autorizzato violenza verso gente innocente, per voi che avete eseguito e per voi che state ripetendo a pappagallo quello che la regia vi ha scritto.
Quel che avete fatto lo riceverete da Dio moltiplicato 9 volte, voi ed i vostri figli fino alla settima generazione. Gloria a Dio! Comunque la ditta sta ancora lavorando fino ad oggi, non è più mia ma i miei ragazzi sono a lavoro… Vi voglio Bene Ragazzi”. (ansa)
DON CIOTTI: “SENTIAMO LE MINACCE COME RIVOLTE AD OGNUNO DI NOI”
Palermo – “Siamo qui, in segno di sostegno ai lavoratori della Calcestruzzi Belice, affinché il cammino di riscatto e uso sociale del bene confiscato abbia continuità e ricadute sempre più collettive. Ma siamo qui anche per ricordare che ogni bene confiscato e restituito – quando possibile – all’uso sociale, puo’ rivelarsi la chiave di volta, lo strumento determinante per sconfiggere il sistema mafioso e i poteri sporchi e corrotti che lo alimentano. Qui per sottolineare, dunque, la necessità di approvare tutte le misure contenute nel nuovo codice antimafia volte a renderlo più efficace”.
Lo dice don Luigi Ciotti, presidente nazionale Libera, secondo cui “le leggi sono forti quando sono incise nella coscienza dei cittadini. Per questo non solo dobbiamo sentire profondamente nostro quest’impegno, ma sentire anche rivolte a noi le minacce a chi lo rafforza con parole oneste, serie, documentate. È il caso di Salvo Palazzolo, bravo giornalista oggetto ieri di minacce per aver informato delle misure preventive di confisca applicate ad alcuni ‘beni’ della famiglia Riina. Sappiano questi signori – i quali minacciano di risorgere come l’Araba Fenice per vendicare nove volte l’‘offesa’ ricevuta – che esiste una Sicilia e un’Italia che s’impegnano per la libertà e la giustizia, e che di fronte alle minacce e alle menzogne non indietreggiano né tacciono. Una Sicilia e un’Italia di giovani, soprattutto, per le quali la ricerca della verità è un imperativo etico, un obbligo di coscienza che precede ogni valutazione e calcolo di convenienza. Nella vicinanza a chi è minacciato e nel ricordo vivo di chi a causa delle mafie ha perso la vita”. Come Rita Atria, “che oggi ricordiamo a Partanna nel venticinquesimo anniversario della morte. Rita è la settima vittima di via d’Amelio, incapace di sopravvivere alla morte di Paolo Borsellino, che era per lei come un padre. La ricordiamo per rinnovare, nell’intimo della coscienza, la sua graffiante lezione di vita: ‘Prima di combattere la mafia – ha scritto Rita prima di morire – devi farti un esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c’e’ nel giro dei tuoi amici. La mafia siamo noi ed il nostro modo sbagliato di comportarci’”. (Agi)