Al Festival del giornalismo di Perugia il prof. Pierluigi Perri dell’Università di Milano

Il bello, il brutto e il cattivo dei social network

Festival del giornalismo Perugia

Pierluigi Perri

Pierluigi Perri

PERUGIA – “La relazione con le nuove tecnologie e l’uso dei social network hanno portato a un’informazione portatile, personalizzata e partecipativa”. Lo ha detto ieri, a Perugia, Pierluigi Perri, docente d’informatica giuridica avanzata all’Università degli Studi di Milano, nella sua relazione al Festival internazionale del giornalismo sul rapporto tra social network e giornalismo.
“Oggi – ha precisato – abbiamo un’informazione sempre aggiornata, costante e personalizzata a seconda degli interessi. Il giornalismo è diventato partecipativo, con l’uso delle fonti informative che provengono dai cittadini e dai social network”. Ma l’utilizzo dei social in maniera professionale ha cominciato a far nascere dei problemi, ha osservato Perri, “perché è difficile scorporare il giornalista dalla sua professione”: “Si arriva ad una sorta di redazione permanente. Alcuni usano dei disclaimer per dire che sono opinioni personali, ma chi li segue lo fa perché sono dei giornalisti”.
Perri ha individuato “il buono, il brutto e il cattivo” dell’uso dei social da parte dei giornalisti. Il buono: “Un costante contatto con i lettori, che cominciano ad affidarsi a quel determinato giornalista o redazione; la raccolta di informazioni e testimonianze nei luoghi degli avvenimenti, nel caso di eventi tragici o pericolosi, riducendo i rischi per il reporter; e soprattutto un risparmio dei costi”.
Il brutto: “La propagazione dell’errore o della ‘bufala’ – ha osservato Perri –. Se qualcuno trasmette qualcosa di errato questo si propaga in maniera amplificata, vista la contaminazione tra le fonti digitali e quelle comuni (tv e carta stampata); tutto quello che non viene discusso nei social non esiste (quod non est in social non est in mundo)”.
Il cattivo: “La possibilità di ‘hate speech’, dei discorsi d’incitazione all’odio nei forum; possibile compromissione degli account social e conseguente diffusione di notizie false o pericolose, con il rischio di creare il panico; possibilità d’incorrere in violazioni etiche e giuridiche perché il social è veloce, stringato, ha debolezze in sé, è eterno”.
In ogni caso oggi il social fa parte del corredo del giornalista ma presuppone il rispetto di leggi e deontologia. I rischi sono: “L’illecito trattamento di dati personali; la violazione di norme sul diritto d’autore; la diffamazione; la velocità e possibilità di sbagliare, ad esempio pubblicando foto di omonimi”.
“La paura – ha evidenziato Perri – è che si venga a creare nelle redazioni una sindrome da trincea per non rischiare di sbagliare. Ma noi dobbiamo cercare di bilanciare ricordando gli alti compiti del giornalista e rispettando il Codice di deontologia sul trattamento dei dati personali”.
Perri ha dato alcuni consigli ai giornalisti: “Usare i social media per relazionarsi con i lettori ma sempre in maniera professionale; fare attenzione alla percezione che si genera in rete; verificare sempre ogni cosa pubblicata sui social; identificarsi sempre come giornalista; essere trasparenti e ammettere i propri errori”.
In futuro, ha concluso, “sarà necessaria una revisione dei Codici deontologici che tenga conto dei social; la redazione di policies di utilizzo dei social media nelle redazioni; e un incremento della presenza di digital natives nelle redazioni”. (Sir)

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