ROMA – È legittimo il carcere per i giornalisti condannati per diffamazione a mezzo stampa? È l’interrogativo che scioglierà a breve la Corte costituzionale.
Il 9 giugno è stata convocata l’udienza in cui la Consulta esaminerà le questioni sollevate dai tribunali di Salerno e Bari, sulla legge sulla stampa del 1948 e in particolare sull’articolo 13 e sull’articolo 595, terza comma, del codice penale.
La legge punisce la diffamazione a mezzo stampa con la reclusione da uno a 6 anni e la multa non inferiore a 256 euro, mentre il codice penale prevede la diffamazione «aggravata dall’uso della stampa, di qualsiasi altro mezzo di pubblicità» con la reclusione da sei mesi a tre anni o la multa non inferiore a 516 euro.
Al centro delle censure dei due tribunali – che denunciano la violazione di vari principi costituzionali – c’è proprio l’applicazione della pena detentiva ai reati di diffamazione a mezzo stampa. Una previsione che, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, risulta generalmente incompatibile, in quanto eccessiva e sproporzionata, con la libertà di espressione tutelata dall’articolo 10 della Cedu, oltre che dall’articolo 21 della Costituzione. (ansa)
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