COSENZA – Era esattamente un anno fa, quando la redazione dell’Ora della Calabria, riunita in assemblea, decise di occupare la sede centrale di Rende, dopo che il liquidatore della società editrice, Giuseppe Bilotta, su imput dei Citrigno, la famiglia proprietaria, non pago di aver sospeso, sei giorni prima, le pubblicazioni e oscurato il nostro sito, in seguito a un nostro articolo rivelatore sulle manovre di “accorduni” con De Rose, l’ormai famoso stampatore censore, dispose la messa in ferie forzate dell’intero corpo redazionale, compreso il sottoscritto, che non ne aveva ancora maturate.
Tutti sapevamo che non sarebbe servita a risolvere i problemi del nostro giornale, ma scegliemmo quella protesta come unica dignitosa via perché quell’ennesimo sopruso non passasse nel solito silenzio e nella solita indifferenza. «L’Ora della dignità» fu, infatti, il testo dello striscione che stendemmo dal finestrone.
L’occupazione durò circa due mesi, scanditi da visite indimenticabili, come quelle del presidente della Conferenza Episcopale Calabrese, Monsignor Salvatore Nunnari, del filosofo Gianni Vattimo, dell’allora ministro Carmela Lanzetta, di Angela Napoli, ex presidente della Commissione Antimafia, e di molte altre personalità, da dirette streaming, ma soprattutto da confidenze, conciliaboli, momenti intensi condivisi tra noi colleghi, di quelli che ti legano per tutta una vita perchè, quando ci si riunisce in prove così dure, si accorciano per sempre le distanze.
Gli eventi, le ristrettezze quotidiane, le stanchezze e le incertezze logorarono quel patrimonio comune, ma non credo ne logoreranno mai il ricordo in ciascuno di noi.
Quando decidemmo di sospendere l’occupazione, per concentrare i nostri sforzi a dare vita a una nuova testata, nonostante tutti gli ostacoli frapposti da vari “cinghiali” e loro complici, non avemmo più il tempo di rientrare nell’ufficio in cui avevamo trascorso tanti giorni e tante notti, perché il liquidatore, sempre su istruzione dell’ex editore, Alfredo Citrigno, fece cambiare lestamente la serratura, senza alcuna comunicazione e in sfregio ai più elementari principi del rispetto delle altrui persone.
Purtroppo questo non è stato il solo sconfortante segnale in un contesto dove sembra tutto sia permesso a potenti e prepotenti di vario tipo. Basta guardarsi attorno a soli dodici mesi da quella vana, seppur coraggiosa occupazione. Lo scorso 20 aprile, per la seconda volta, la Procura di Cosenza ha rinviato il processo contro De Rose che deve rispondere dell’accusa di «violenza privata», dal momento che simulò un blocco della rotativa pur di non far uscire la notizia relativa all’apertura di un’inchiesta sul figlio del senatore Gentile, dopo che la sua telefonata minacciosa nella stessa notte del febbraio 2014, non era andata a buon fine.
Chi scrive, come persona lesa, non riceve alcuna notifica su questo processo ed è in attesa di conoscere dai propri legali la ragione di questo “disguido” procedurale. Ma visto che l’udienza è stata rinviata addirittura al prossimo ottobre, è innegabile il dubbio che l’affare tenda ad insabbiarsi o magari a protrarsi sino allo sfinimento o all’oblio. Nel frattempo, proprio Umberto De Rose (oltre a stampare un nuovo provinciale cosentino nato per impulso del nostro ex pubblicitario, il quale tentò più volte di convincermi a un’intesa con lo stesso De Rose dopo l’orrenda censura) stampa pure “Il Garantista”, fondato da Sansonetti, mio predecessore all’Ora della Calabria. Praticamente ora De Rose stampa ben due quotidiani, la sua posizione nell’editoria calabrese si è addirittura rinforzata, in barba all’Oragate.
Al “Garantista” sono confluiti parecchi colleghi, purtroppo ora alle prese con stipendi che non arrivano e altre situazioni inaccettabili, come quella svelata di recente da “Il Fatto”: la lettera con cui Andrea Cuzzocrea, presidente della cooperativa editrice, ma anche di Confindustria reggina, invita una collaboratrice a dimettersi solo perchè ha chiesto in termini decisi di ricevere (dopo nove mesi!) ciò che le era dovuto per contratto.
Le proprietà, da quanto ho visto qui in Calabria, sono sovente aduse a certe prepotenze, a certe mancanze di rispetto. Ma Sansonetti è un direttore, un giornalista che esterna spesso e volentieri su diritti e libertà e mi auguro che, almeno in questo caso, sappia porre un argine e tutelare quelli di chi lavora con lui e per lui. Rammento bene che al suo editoriale di congedo dall’Ora, descrivendomi come “esperto di famiglie reali”, mi invitò a non restare suggestionato dalle tante famiglie potenti operanti in suolo calabro. Non vorrei, specialmente per i tanti amici e colleghi che lavorano, non regolarmente retribuiti, al suo “Garantista, considerando anche il modo in cui ha accettato che il suo quotidiano venga stampato da De Rose, ma anche le tante oscurità che ho notato, esaminando i bilanci e gli altri documenti, nella gestione aziendale dell’Ora nel periodo della sua direzione, rientrasse nel solito novero di chi predica bene, ma razzola molto peggio.
Alla fine i silenzi, l’ignorare soprusi e manchevolezze serie, si traducono in un ausilio concreto ai prepotenti e in un ostacolo, in un mezzo d’isolamento e logoramento verso chi, invece, intende esercitare e fare esercitare la professione giornalistica nella piena legalità, nel rispetto dei diritti sindacali. Il “garantismo” vero vale per tutti, non solo per i ricchi e/o potenti rinviati a giudizio.
L’occupazione dell’Ora fu decisa alla vigilia della Festa della Liberazione e significativamente, un anno fa, per il 25 aprile organizzammo una diretta streaming invocando la difesa della libertà di stampa. Un appello vano, specialemente per l’indifferenza delle istituzioni.
Ho più volte scritto alla Commissione Antimafia, denunciando tutte le storture ravvisate nell’oscura liquidazione della nostra società editrice, ma, dopo essere stato ascoltato un anno fa, non ho avuto alcuna risposta. Tanto per dire di come e quanto il liquidatore, sempre sui soliti imput, continui a fare un po’ come gli pare, non risponde neppure alle mie richieste di ricevere, come mio sacrosanto diritto, il Cud, mentre ad altri colleghi lo ha inviato caricandovi mensilità mai erogate. E questo senza contare che da oltre cinque mesi non risponde ai quesiti che le rappresentanze sindacali gli hanno rivolto in sede ufficiale, alla presenza del prefetto di Cosenza, Gianfranco Tomao.
Non nascondo, a chi con affetto continua a seguirci sul nostro blog “L’Orasiamonoi”, che il mio silenzio dell’ultimo mese nasce dalla tristezza maturata per questo abbandono totale e dalla sensazione che scrivendo di questi mali purtroppo si diventi tautologici, “dischi rotti” che s’imballano sulle stesse frasi, vanamente. Ma ripetitiva è la realtà sociopolitica della Calabria, col suo marciume trasversale, con le cinghialate diffuse e permesse dai tanti omertosi, alimentate dalle fragilità accese dai bisogni di tanti, troppi precari e disoccupati. I cambiamenti sono fittizi, perchè il sistema dell’accorduni, delle intese ai confini della legalità, è trasversale, senza confini di partito. Tutto ciò stanca, quasi annienta.
Ma per me questo silenzio, che rompo soprattutto per affetto e rispetto verso i miei colleghi, quelli che mi sono rimasti accanto nella prolungata protesta e quelli finiti a lavorare altrove, è stata una salutare pausa di riflessione. Non smetterò mai di lottare per un nuovo progetto, per un’informazione “senza bavagli” e gestita, da un punto di vista aziendale, in modo trasparente e corretto, ma soprattutto non smetterò mai di segnalare, anche all’interno del Consiglio Nazionale della Fnsi, soprusi, irregolarità, minacce e pressioni che gravano sulla stampa calabrese. Ne ho visti e sentiti parecchi, troppi anche al di fuori dell’Ora della Calabria e ho apprezzato ogni volta la ferma presa di posizione del segretario regionale del nostro sindacato, Carlo Parisi, forse l’unico e più valido punto di riferimento per chi vive situazioni come quella che ha travolto il nostro giornale. Che sia per tutti i colleghi e non solo per noi reduci di un quotidiano che non c’è più, l’Ora della dignità.
Luciano Regolo