ROMA – Una lettura superficiale, condizionata da evidenti interessi personali, porta molti a commentare l’approvazione da parte del Senato del ddl sull’editoria come se ci fossero solo luci, che ci sono, ma non permanessero ombre preoccupanti.
Resta da capire perché mai il governo e la maggioranza non abbiano ritenuto di inserire due norme che, a parole, tutti definivano di buonsenso.
La prima: prevedere che gli editori, per accedere ai fondi pubblici (i nostri soldi) dovessero documentare di aver retribuito i giornalisti. Già alla Camera, nonostante l’appassionato tentativo di alcuni deputati di varie forze politiche, c’era stato uno sbarramento di governo e relatore che non ha lasciato alcuno spazio al tentativo dell’Odg di ottenere garanzie per i colleghi che, emerge con chiarezza, continuano ad essere sfruttati in maniera vergognosa.
La seconda proposta riguardava il registro degli editori. In Senato hanno cercato, con un emendamento, di snaturare il senso della proposta che non riguardava solo la prevista utilità di conoscere le partecipazioni societarie nelle aziende che agiscono nel mondo dell’informazione.
La richiesta dell’Odg era ben più complessa, a tutela del diritto dei cittadini di capire perché alcune testate enfatizzino certe notizie o altre le ignorino. L’emendamento che l’Odg aveva proposto riguardava l’obbligo, per accedere ai finanziamenti, di dichiarare tutte, nessuna esclusa, le partecipazione azionarie, dirette o indirette, nei vari settori dell’economia non solo nazionale. Perché non è stato accettato? È uno dei misteri di questo percorso parlamentare.
C’è, poi, un ulteriore elemento che riguarda più da vicino l’Ordine dei giornalisti. Correggendo una decisione della Camera dei Deputati, il Senato ha previsto l’obbligo di una posizione Inpgi sia per i professionisti sia per i pubblicisti come pre condizione per poter essere eletti Consiglieri nazionali. Non si capisce se governo e maggioranza considerino di serie B il lavoro dei Consigli regionali, che sono invece, come scrivono acutamente alcuni presidenti di Odg, il primo “presidio democratico” a tutela di quanti “effettivamente esercitano la professione”. Infatti, la richiesta posizione Inpgi non è prevista per essere eletti consiglieri regionali. Non si può ovviare a questo nell’ambito dell’esercizio della delega visto che quella conferita al governo ha paletti ben definiti.
Il ruolo degli Ordini regionali è fondamentale. Sono, infatti, essi che per legge hanno la responsabilità delle iscrizioni all’Albo e delle eventuali cancellazioni. Sono loro che, nell’esercizio delle loro attribuzioni, hanno determinato l’esplosione del numero degli iscritti.
È un’evidente disparità nell’elettorato passivo perché la previsione per gli uni, i consiglieri nazionali, non c’è per gli altri, i consiglieri regionali.
La Camera dovrà provvedere. A meno che, l’ansia di corrispondere agli editori le provvidenze, anche in vista della scadenza referendaria, non stimoli a violare la Costituzione con una norma che provocherà, se confermata, danni e inevitabili ricorsi.
Enzo Iacopino
Presidente Consiglio nazionale Ordine dei giornalisti