COSENZA – I rapporti difficili tra Alessandro Bozzo e l’editore di “Calabria Ora”, ma anche quelli ugualmente tormentati tra lo stesso giornalista e i direttori che si sono succeduti alla guida del giornale; e poi l’ormai famigerato contratto di lavoro che, ad aprile del 2012, Bozzo sottoscrisse pur ritenendolo “un’estorsione”.
Di questo e altro si è discusso in aula, ieri, alla ripresa del processo che vede Pietro Citrigno sotto accusa per violenza privata commessa ai danni del giornalista, poi suicidatosi il 15 marzo del 2013. A seguito della sua morte, dai suoi diari – finiti in mano alla Procura di Cosenza – era emerso tutto il suo disagio per una serie di vessazioni che lamentava di aver subito sul posto di lavoro.
Proprio tali circostanze hanno innescato il processo a carico dell’editore che, ieri, ha fatto registrare la testimonianza di tre colleghi di Bozzo: Marco Cribari, Francesco Pirillo e Saverio Paletta. Il primo si è soffermato sulla difficoltà dei rapporti di Alessandro con i direttori Paolo Pollichieni e Piero Sansonetti, ma soprattutto sul sentimento di “amore e odio” che Citrigno nutriva nei suoi confronti.
“Ad aggravare la situazione – ha ricordato Cribari – ci ha pensato l’impegno sindacale che Bozzo aveva profuso nel 2010 in favore di alcuni colleghi a rischio licenziamento. In virtù del suo atteggiamento, i suoi rapporti con l’editore erano precipitati”. Dopo la destituzione di Pollichieni, e in attesa dell’arrivo del nuovo direttore, il giornalista aveva preso in mano le redini del quotidiano, garantendone la sopravvivenza, ma invece di “essere premiato” si era ritrovato poi in un angolo, con continui cambiamenti di settore e proposte di trasferimento da lui interpretate come “mortificazioni”.
Nell’aprile del 2012, poi, con il cambio societario e il passaggio della proprietà da Pietro Citrigno a suo figlio Alfredo, il suo contratto e quello di altri tre colleghi diventò da tempo indeterminato a tempo determinato. Gli altri rifiutarono l’offerta – tra cui lo stesso Pirillo, secondo testimone della giornata – abbandonando così Calabria Ora, Bozzo a malincuore accettò.
“Da allora, per lui era iniziato una sorta di countdown che lo separava dal giorno in cui si sarebbe ritrovato disoccupato”. Otto mesi sulla graticola, dunque, prima della riconferma strappata il 31 dicembre del 2012, all’ultimo giorno utile. L’azienda, infatti, aveva richiesto lo stato di crisi e i suoi dipendenti – lo ha ricordato Paletta – accettarono di ridursi gli stipendi nella certezza che, così facendo, tutti i contratti, compreso quello di Alessandro, sarebbero stati rinnovati. Tre mesi dopo, però, il giornalista si tolse la vita con un colpo di pistola.
Il processo riprenderà il prossimo 16 febbraio per sentire un consulente della Procura. L’11 marzo, invece, inizieranno a sfilare in aula i testimoni della difesa. (Il Quotidiano del Sud)
Al processo sul suicidio del giornalista le testimonianze di Cribari, Paletta e Pirillo