MESSINA – E’ l’ennesima conferma: i giornalisti con la schiena dritta, incompatibili con gli “inchini”, sono ormai bersagli mobili. Le cosche hanno alzato il tiro, dagli avvertimenti trasversali sono passati alle minacce esplicite, alle intimidazioni dirette.
Assai eloquente è il caso (l’ultimo di una lunga serie nel panorama del giornalismo calabrese) del collega di Gazzetta del Sud, Francesco Ranieri, il cui unico torto è stato quello di scrivere senza usare quella “delicatezza” che il boss pretendeva. Cioè senza piegarsi al quieto vivere, alle complicità e alle omissioni.
A questo punto bisogna continuare nel solco tracciato dal Sindacato dei giornalisti calabresi, facendo scudo attraverso un rapporto operativo con le Istituzioni e le Forze dell’Ordine. Ma scrivere sotto tutela è solo la risposta a un’emergenza, in questo caso a un’escalation di pressioni criminali che hanno raggiunto il limite.
Le reazioni collettive – un po’ sul modello delle associazioni antiracket – possono delineare una coscienza professionale più omogenea rispetto alla campagna di intimidazioni delle cosche contro i giornalisti. A Francesco il nostro pieno e incondizionato sostegno. Il suo coraggio e il suo spirito professionale sono esempi per tutti noi.
Il Cdr della Gazzetta del Sud