ROMA – E’ stato il Pci ad abbandonarlo. Lui è rimasto fedele al comunismo fino ad oggi. Coerente come quando, nel ‘36, abbandonò il Centro sperimentale di cinematografia e l’amore per la letteratura per entrare “spinto a calci” nel partito clandestino e nella Resistenza. L’ultima tessera ad entragli in tasca è stata quella di Rifondazione comunista nel 2005. Anche quello un atto di omaggio a quella definizione – comunista – che ora l’accompagna in un ulteriore traguardo, visto che Pietro Ingrao oggi compie 100 anni (nacque a Lenola il 30 marzo 1915, ndr).
Pentito di questo amore così lungo? “Assolutamente no. Resta il meglio della mia vita: ciò che ho cercato di dare al mondo degli oppressi e degli sfruttati. Mi sono pentito di pesanti errori che ho compiuto nella mia lunga vita di militante comunista”.
“Del resto – ha spiegato negli ultimi anni – non ho mai avvertito dentro di me una rottura con l’ideale e la prospettiva comunista”.
Una ricerca che segna una vita all’insegna del “Volevo la luna”, pretesa dal testardo Pietro come regalo dai genitori il giorno in cui gli chiesero di fare la pipì nel vasino. Ingrao non ha mai smesso di cercare quello che è “oltre”, spingendosi costantemente ai confini del partito e ricevendo come fin troppo facile definizione quella di eretico. Ma se si scorre la biografia, l’ampia bibliografia e la mazzetta delle ultime interviste, oltre all’appena uscito libro “La certezza del dubbio” curato da Roberto Vicaretti (Imprimatur edizioni), ci si accorge che tutto si può dire di Ingrao meno di essere stato un eretico.
Pupillo di Togliatti, che lo volle, giovanissimo, alla guida de l’Unità (Ingrao diresse il quotidiano dal 1947 al ‘57, ndr); autore di un editoriale, nel 1956, che difendeva l’invasione dell’Ungheria da parte dell’Urss(“l’errore più grave”), Ingrao vota a favore della radiazione del gruppo de “Il Manifesto” di cui era il punto di riferimento ideologico ed umano (“Errore persino assurdo. Esitai a rompere per una gretta e anche stupida disciplina di partito”).
Eppure fu sempre Ingrao, con meno caratteri di un tweet, nel 1966 (“Non sarei sincero se dicessi a voi che sono rimasto persuaso”), a rompere la ritualità comunista terremotando il Pci. Era stato lui a pubblicare il rapporto Krusciov senza il benestare di Togliatti. Più tardi, nel 1968, fu lui a condannare l’invasione di Praga senza aspettare le decisioni del partito.
Eretico? “Ingrao è un condensato delle grandezze e dei limiti del Pci – dice Fabio Mussi, il più giovane componente del Comitato centrale nella storia del Pci – . E’ quello che si spinge alle frontiere, ma è anche quello che poi rifluisce in certi momenti di decisione”.
“Non è mai uscito definitivamente, non è mai stato definitivamente al di là. Anche quando fini il Pci stette sulla frontiera”.
“Eretico? No. Pietro Ingrao è stato un militante abbastanza omogeneo alla storia del Pci”, dice Emanuele Macaluso.
Nichi Vendola: “Non era affatto un eretico, era il contrario; è sempre stato disciplinatissimo. Ha sviluppato un pensiero diverso, ma per niente eretico. L’eretico è uno che rompe, per lui non è stato così: se ne è andato quando il Pci ormai non c’era più”.
“Il termine eretico richiede l’elaborazione di una eresia teorica completa, e in questo caso non c’è stata”, aggiunge Achille Occhetto, ultimo segretario del Pci: “Ci sono state molte illuminazioni, molti stimoli”.
Fausto Bertinotti: “Per Ingrao il Partito è stato il Principe”. E “in questo Ingrao è un classico; questa è la ragione che spiega il suo essere ‘eretico’ senza scisma”. (Ansa)
Un traguardo d’eccezione, come la sua vita, per il politico, giornalista e partigiano